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Presunta Prigione del Popolo

La Prigione del popolo, monografia pp. 6 di Antonello Anappo (Fondo Riva Portuense, Roma 2003 )

 

La Prigione del popolo è un appartamento con garage al pianterreno di via Montalcini, 8, legato alla tragica memoria del Rapimento Moro.

La vicenda inizia il 16 marzo 1978, quando un commando delle Brigate Rosse rapisce lo statista Aldo Moro in via Fani. Seguono 55 giorni di dura prigionia, in cui Moro scrive 86 lettere, nelle quali implora di trattare con le BR e fornisce agli investigatori elementi per liberarlo: «Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato», scrive, indicando di trovarsi al pianterreno di un condominio affollato e non ancora perquisito. Il rapimento lacera il Paese: PCI e maggioranza DC sono per la fermezza, PSI e minoranza DC per la trattativa. Il 9 maggio il corpo senza vita di Moro viene ritrovato in via Fani. Sei processi non hanno restituito, ancora oggi, una verità definitiva sul Caso Moro.

 

Il rapimento

 

Le Brigate Rosse sono un’organizzazione eversiva, fondata nel 1970 da Renato Curcio e Alberto Franceschini. Nel 1974 il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ne arresta i capi storici, e da allora prende la guida Mario Moretti, che esaspera i caratteri militari e avversa il dialogo in corso fra il PCI di Enrico Berlinguer (al 34%) e la DC di Aldo Moro (al 38%).

Nella mattina del 16 marzo 1978, alle 9,15 - quando le Camere stanno per votare la fiducia al Governo Andreotti IV, con il sostegno del PCI -, in via Fani va in scena l’agguato: il gruppo di fuoco brigatista stermina la scorta e rapisce Moro. Iniziano 55 giorni difficilissimi, in cui 9 comunicati informano l’Italia sul processo al «prigioniero Moro», fino alla tragica sentenza di morte.

All’istante Roma si ferma. La diretta tv riversa fiumi di informazioni, mentre blocchi stradali chiudono il Grande Raccordo Anulare. Ma Moro non è andato lontano. A bordo di una Fiat 132 è giunto in un appartamento di via Montalcini, «una strada poco frequentata, senza vetrine né panchine, né capolinea». L’appartamento, al pian terreno e con un box, è intestato ad Anna Laura Brachetti, che convive con Prospero Gallinari, conosciuto come Ingegner Altobelli. Nella «Prigione del Popolo» si alternano altri due carcerieri, Valerio Morucci e Germano Maccari, simulando una normalità di relazioni sociali e familiari.

Moretti, che abita invece in via Gradoli, viene a via Montalcini ogni mattina in autobus, per condurre gli interrogatori. E Moro inizia a parlare: rivela affari scottanti, come Gladio e i finanziamenti illeciti alla DC. Il comunicato n. 3, con le parole «Il prigioniero sta collaborando», fa tremare il Palazzo. Il resto del tempo Moro lo trascorre ascoltando una messa su nastro, leggendo giornali e, soprattutto, scrivendo.

 

Lettere dalla Prigione del Popolo

 

Durante la prigionia in via Montalcini Aldo Moro compila a mano 86 lettere, in cui implora compagni di partito e autorità di trattare con le BR.

«Sto discretamente - scrive ai familiari -, assistito con premura». «Il cibo è abbondante e sano»; «mangio ora un po’ più di farinacei»; «Non mancano mucchietti di appropriate medicine». Riserva alla moglie Noretta parole toccanti: «Ad Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia spento. A Giovanni vorrei chiedessi dolcemente che provi a fare un esame». «Ho lasciato lo stipendio al solito posto. Aiuta un po’ Anna, data la gravidanza ed il misero stipendio del marito».

Al compagno di partito Francesco Cossiga invia messaggi in codice: «Mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato», ovvero: sono al pianterreno di un condominio affollato, non ancora perquisito. Ripete di trovarsi a Roma: «Io sono qui»; «mandate delegati qui a Roma», perché - ha appreso - i militari sono fuori pista: setacciano la cittadina viterbese di Gradoli, indicata in una seduta spiritica.

Le BR intanto formalizzano il ricatto: Moro libero, in cambio di Curcio e altri 12 brigatisti. Il Paese si lacera: PCI e maggioranza DC sono per la linea della fermezza, mentre PSI e minoranza DC sono per la trattativa. Moro accusa il nuovo segretario Benigno Zaccagnini e il suo partito di averlo abbandonato: «Il mio sangue ricadrà su di loro», scrive rabbioso. Si spinge a chiedere: «Vi è forse, nel tener duro, un’indicazione americana e tedesca?». E spiega: «Queste sono vicende di guerriglia, ostinarsi in un astratto principio di legalità è inammissibile». La stampa, evocando la sindrome di Stoccolma (la dipendenza che lega il rapito al rapitore), ne dibatte l’attendibilità. Il 4 aprile la Camera vota per la linea della fermezza.

 

L’Italia piange Moro

 

Dal 18 aprile il sequestro prende una piega visibilmente drammatica. La polizia irrompe a via Gradoli, e si accumulano gli episodi poco chiari: ‘ndrangheta, banda della Magliana, le inchieste di Pecorelli, Loggia P2 e servizi deviati, e il falso comunicato che dà Moro morto al Lago della Duchessa.

Sono in molti a desiderare che Moro non torni, anche se non mancano gli interventi autorevoli per favorirne la liberazione. Il 25 aprile il segretario ONU Kurt Waldheim rivolge un appello, e altrettanto fa «in ginocchio» Papa Paolo VI, che lascia sperare in trattative parallele della Santa Sede. Fino all’ultimo comunicato n. 9 del 5 maggio («Concludiamo la battaglia»), che annuncia la fine del processo e la sentenza di morte. Amintore Fanfani (DC) propone in extremis lo scambio con una brigatista anziana e malata. La DC e il capo dello Stato Giovanni Leone approvano. Ma è ormai troppo tardi.

Alle 6 del mattino del 9 maggio, nel garage di via Montalcini (ma gli atti processuali non concordano al riguardo), Moro entra coperto da un plaid nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Due raffiche di mitraglietta Skorpion 7.65 e due colpi di rivoltella Pkk 9 eseguono la tragica condanna.

L’auto arriva in via Caetani, poco distante dalla sede del PCI e qui viene segnalata alla stampa. L’immagine straziata dello statista ucciso fa il giro del mondo.

Ancora oggi 6 processi e una ventina di sentenze non hanno restituito una verità definitiva sul Sequestro Moro.

 

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