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Vecchio Ponte della Magliana

Il Vecchio Ponte della Magliana, monografia pp. 8 di Antonello Anappo (Fondo Riva Portuense, Roma 2002 )

 

Il Vecchio Ponte della Magliana era un ponte smontabile in acciaio, in uso fra il 1901 e il 1944.

La struttura, chiamata dai Romani «Passerella», viene realizzata nel 1878 per l’attraversamento a pedaggio fra Prati e  Ripetta. Nel 1901 il Comune di Roma smonta la struttura, ricollocandola alla Magliana. Qui, in mezzo secolo, la passerella è muta testimone degli eventi storici: nel 1910 l’incidente dell’aviatore Vivaldi Pasqua; nel 1937 la grande piena del Tevere; l’8 settembre 1943 lo scontro tra i Granatieri di Sardegna e i Paracadutisti della Fallshirmjäger Division. Nel 1944 i Tedeschi disarmano il ponte e solo nel 1952, più a monte, viene completato l’attuale Ponte della Magliana. Dal 2000 è iniziata la progettazione del nuovo Ponte dei Congressi.

 


La Passarella di Ripetta

 

Nel 1873, ad appena due anni dalla proclamazione di Roma Capitale, il Conte Cahen è a capo del consorzio dei costruttori del nuovo comprensorio urbano dei Prati di Castello, oggi conosciuto con il nome di «Quartiere Prati».

Il Conte chiede al Comune di Roma, anche a nome del Principe Odescalchi e del Conte Coello, di realizzare un nuovo ponte sul Tevere, per collegare alla città la nuova zona di espansione, e ricavarne così una forte valorizzare fondiaria dei terreni. Il Comune risponde favorevolmente e progetta in tempi rapidi il nuovo attraversamento sul Tevere, intitolato al Conte Cavour. La realizzazione però incontra inspiegabili lentezze: Ponte Cavour, in effetti, sarà completato solo 28 anni dopo.

Nel frattempo il Conte Cahen, che probabilmente ha già intuito quale mostro orribile sia la burocrazia del nascente Stato unitario italiano, si rivolge ad una società belga che costruisce ponti smontabili in acciaio, e ottiene dal Comune la licenza per installarne uno tra le due sponde di Prati di Castello e il Porto di Ripetta. Si tratta di un avveniristico ponte in acciaio a travata unica, carrabile, lungo esattamente 100 metri, che si appoggia su soli 8 tubolari in ghisa e calcestruzzo piantati direttamente nell’alveo del fiume. I costi sono sostenuti interamente dal consorzio guidato da Cahen, che ottiene di poter rientrare delle spese riscuotendo il pedaggio per l’attraversamento del ponte.

Il cantiere è aperto nel 1878 e, dopo appena un anno, la passerella viene aperta al transito il 14 marzo 1879, giorno del compleanno di Re Umberto I, che tiene a battesimo la nuova struttura.

 

Il «procoio» della Magliana

 

Ventidue anni dopo, siamo nel 1901, Ponte Cavour viene finalmente completato, e il Comune, come da accordi, riscatta dai costruttori la Passerella, con una somma in denaro, smontandola.

Si decide in quel periodo di rimontarla alla Magliana. Bisogna superare in realtà più di un problema di ordine tecnologico: la passerella di 100 metri è troppo corta per congiungere le due sponde del fiume, che in quel tratto misura circa 130 metri. Il problema viene risolto «segando in due» la passerella, e lasciando nella nella parte centrale un ponte levatoio ad azionamento elettrico, apribile per il transito del vaporetti. La cambina di elettrificazione è ancora oggi visibile sulla sponda sinistra del fiume.

La scelta di questo luogo per l’edificazione del nuovo attraversamento non è casuale. Le nuove norme di bonifica sanitaria, che hanno introdotto il divieto di ingresso a Roma per i pastori impegnati nella transumanza, mettono anche in luce la mancanza di un ponte extra-urbano fra Roma e il mare. Le rotte della transumanza fra l’Abruzzo e il mare non sono certo in cima all’agenda dei politici del tempo, ma il cul-de-sac in cui il Tevere pone Roma dal punto di vista militare, isolandola in caso di invasione straniera e impossibilitandola a ricevere rinforzi, convincono gli amministratori del tempo a collocare alla Magliana la passerella, in un punto allora in aperta campagna ma considerato intermedio tra l’Urbe e il mare.

I primi a beneficiare della passerella sono proprio i pastori. Ponte della Magliana diventa in breve l’unico crocevia delle rotte della transumanza a sud di Roma, e di lì a breve nasce, nei pressi del torrente Papa Leone, un «procoio», piccolo villaggio di capanne mobili per la sosta dei pastori e degli armenti. Da questo insediamento, a partire dal 1915 nascerà la Borgata Petrelli.

 

Vivaldi Pasqua, pioniere dell’aria

 

Nel 1910 la Passerella della Magliana assiste ad un drammatico incidente, che desta grande commozione e risalto nei giornali, in quanto è considerato il primo incidente dell’aviazione italiana.

Vittorio Ugolino Vivaldi Pasqua, marchese di San Giovanni, nasce a Genova, il 2 luglio 1885. Avviato alla carriera militare, consegue il grado di tenente di cavalleria nel 25° Lancieri di Mantova e fa parte del Battaglione specialisti del Genio. A 24 anni apprende i rudimenti dell’aria alla École de Mourmelon in Francia, ed acquista a sue spese un aereo Farman con motore Renault da 65 cavalli.

Nell’aprile 1910 prosegue le esercitazioni in Italia, sorvolando per primo i cieli di Bologna, distinguendosi per doti non comuni di ardimento e passione. Nell’estate è a Roma, con il tenente pilota Umberto Savoja, con cui condivide la passione per il volo. Il 18 agosto, presso il Campo di Centocelle, ottiene il brevetto aeronautico n. 6 del Regno d’Italia.

            La sorte, appena due giorni dopo, il 20 agosto 1910, lo lega ad un tragico destino. L’ultimo volo, con partenza da Centocelle, prevede il sorvolo di Maccarese, Ladispoli e Civitavecchia. Tutto fila liscio ma, al ritorno, giunto alla Magliana, il motore si arresta. Lo schianto al suolo, poco distante da Ponte sul Tevere, è terribile. Vivaldi Pasqua muore sul colpo. Ha appena 25 anni. È il primo caduto dell’aviazione italiana.

Lo ricorda una targa nel Museo storico del Genio militare di Roma, posta a fianco del rottame del motore. La sua vicenda è stata narrata dal n. 35 de L’Illustrazione italiana del 28 agosto 1910.

 
Il ponte di Raffaelli
 

Il 15 febbraio 1915 intanto la Passerella in acciaio supera senza problemi la piena eccezionale del Tevere (l’Idrometro di Ripetta annota che il fiume raggiunse allora l’impressionante quota di idrometrica di 16,08). E tuttavia si comincia a ragionare su un nuovo smontaggio della Passerella.

Al suo posto, nel 1930, il progettista Romolo Raffaelli disegna il nuovo Ponte della Magliana, un monumentale ponte ad arco della lunghezza di oltre 200 metri, comprese le spallette di appoggio, pensato come ingresso ovest alla nuova città fieristica dell’E42. Il progetto rimane sulla carta.

Il 17 dicembre 1937            si verifica intanto una nuova piena eccezionale, in effetti l’ultima piena eccezionale del nostro fiume, in cui la quota idrometrica raggiunge il livello di 16,84 metri. Questa in effetti è la prima alluvione ampiamente documentata dai fotografi. Un ardimentoso cronista dell’Istituto Luce si spinge persino, a bordo di una barchetta, fino alla Passerella della Magliana, che resiste anche a questa ondata di piena, girando immagini spettacolari che ormai fanno parte della memoria collettiva del quartiere.

Gli architetti Vaccaro e Valle riprendono allora la progettazione di un ponte sul Tevere alla Magliana. La prima pietra di un ponte a sette arcate, con arco centrale in ferro, apribile per la navigazione dei vaporetti, inizia nel 1938. Vengono gettati i piloni e la realizzazione arriva anche a un buon punto, ma gli eventi bellici prima rallentano e infine chiudono il cantiere.

 
«La parola al cannone»
 

Alle 19,45 dell’8 settembre 1943, quando il generale Badoglio annuncia per radio l’armistizio con gli Alleati, le truppe germaniche si mettono immediatamente in moto. Tre quarti d’ora dopo sono già alla periferia sud di Roma.

Alle 20,30 i paracadutisti della II Fallschirmjäger Division espugnano il caposaldo di Vitinia, il deposito carburanti di Mezzocammino e il blocco stradale che precede la Passerella in acciaio della Magliana lungo la Via Ostiense. Alle 21 sono di fronte al «Quinto caposaldo», un complesso difensivo italiano delimitato dalla passerella sul fiume, le batterie di artigliera poste sulla scalinata del Palazzo dell’Impero (oggi Palazzo della Civiltà italiana) e dalla struttura militare di Forte Ostiense, dove alloggiano 800 uomini del I Reggimento della XXI Divisione Granatieri di Sardegna.

I Tedeschi chiedono di parlamentare con il comandante di caposaldo, Meoli. Ma la richiesta si rivela una trappola: Meoli viene trattenuto e fatto prigioniero, mentre un delegato tedesco ottiene di essere condotto al Comando della Garbatella, dove risiede il generale Solinas al comando dei Granatieri. Questi apostrofa Solinas con parole sferzanti, dicendoglo che «la guerra degli Italiani è finita». Solinas risponde al delegato con un ultimatum: se entro le 22,10 non sarà liberato il comandante Meoli e non sarà restituito il blocco stradale, i Granatieri attaccheranno.

Alla scadenza dell’ultimatum due vampe di fuoco sulla collina dell’E42 segnano l’apertura delle ostilità. Così riporta il generale Solinas nei diari militari: «Alle 22,10 precise due vampe sulla collina dell’Esposizione mi annunciavano, prima del suono dei colpi, che i pezzi dislocati sul Caposaldo n. 5 avevano aperto il fuoco. Mi assalì allora un impeto di sdegno, e decisi senz’altro di dare la parola al cannone».

 
Battaglia al Quinto caposaldo
 

L’assalto contro il blocco stradale viene condotto dal III battaglione dei Granatieri. I Tedeschi, che non attendono altro, rispondono con un contrattacco in massa di paracadutisti e artiglieri, e lanciano in contemporanea altri 4 attacchi verso i capisaldi n. 6, 7 e 8 e penetrano nel quartiere E42. A Mezzanotte la mischia alla Magliana è furibonda. I registri miliatri annotano: «situazione critica». E Solinas verga di suo pugno: «Salve di artiglieria, raffiche di mitragliatrici, scoppi di bombe a mano si susseguono senza interruzione».

All’una di notte la Fallschirmjäger riceve rinforzi e lancia una seconda violenta offensiva contro il Caposaldo della Magliana. I Tedeschi si impadroniscono del Ponte, per poi perderlo, riconquistarlo e infine riperderlo.

I feriti italiani sono accolti nell’ospedale da campo allestito dalle Suore di Sant’Anna nelle camerate di Forte Ostiense: i più gravi, quelli che saranno inidonei a riprendere le armi, vengono trasportati fuori dal Forte e nascosti nelle case private del vicino quartiere della Montagnola, nel timore che i Tedeschi, una volta preso possesso del Forte, avrebbero condotto delle rappresaglie verso i feriti. Si raccontano episodi eroici, e persino macabri. Suor Teresina delle Suore di Sant’Anna affronta, armata solo di un crocifisso in ottone, un tedesco che le sbarra la strada a mitra spianato: pare che il tedesco abbia avuto la peggio. Le altre suore, incuranti delle bombe, fanno la spola tra il campo di battaglia e il forte, raccogliendo i feriti; la croce rossa sulle giubbe delle religiose, mancando il colorante, è dipinta col sangue.

A notte fonda i Tedeschi lanciano il terzo e decisivo attacco. Nel frattempo al Forte Ostiense è arrivato qualche rinforzo di armi e munizioni, ma i Granatieri decidono di non contrattaccare. Si rivelerà un errore: il Ponte della Magliana viene espugnato, così come il Palazzo dell’Impero dove i Granatieri hanno numerosi e importanti pezzi di artiglieria. I Granatieri sono costretti ad evacuare il 5° caposaldo, ritirandosi in ridotta dentro Forte Ostiense.

Alle 5,50 del mattino c’è per gli Italiani una sgradita sorpresa. Le artiglierie italiane del Palazzo dell’Impero, cadute in mano tedesca, vengono puntate dai Tedeschi contro il bastione centrale di Forte Ostiense e iniziano un fuoco ininterrotto verso la struttura fortificata. Il forte è posto sotto un pesante cannoneggiamento. Alle 7, racconta il cappellano Don Pietro, «non c’è più un vetro sano». Non si sa bene come e perché, in quel momento nel Forte scoppia un incendio. Tocca proprio al cappellano Don Pietro, pochi minuti dopo, uscire dal forte e formalizzare ai Tedeschi la resa italiana.

 

L’azione dei lancieri di Montebello

 

Mentre Don Pietro presenta ai delegati tedeschi la resa italiana, e quando tutto sembra perduto, arrivano finalmente i rinforzi decisivi. Questo in realtà è uno dei punti meno chiari di tutta la vicenda. Non si sa se l’iniziativa di Don Pietro sia stata un’iniziativa personale o se abbia ricevuto l’avallo del comando militare. Fatto sta che mentre Don Pietro si arrende arrivano sul teatro delle operazioni tre squadroni dei Lancieri di Montebello, con autoblindo e semoventi. E riaprono la partita.

Insieme a loro ci sono anche un battaglione di Allievi Carabinieri e 200 guardie coloniali della PAI, la Polizia dell’Africa Italiana. Senza sapere della resa il colonnello Giordani lancia più attacchi simultanei verso i Tedeschi, che ritengono le azioni militari concluse, disorientandoli. Poco dopo il II battaglione si rimpossessa delle posizioni perdute sulla collina dell’E42.

L’azione principale è condotta sotto il cavalcavia ferroviario, sulla Via Ostiense: carabinieri e coloniali, in inferiorità di artiglierie, costringono i Tedeschi ad arretrare. Orlando De Tommaso, comandante degli Allievi Carabinieri, muore da eroe: «Mosse i suoi all’attacco con slancio superbo. Dopo tre ore di aspra lotta non esitava a balzare in piedi allo scoperto, sulla strada furiosamente battuta. Colpito a morte da una raffica di arma automatica, cadeva gridando: Avanti, viva l’Italia!». I Tedeschi arretrano, mentre i coloniali li incalzano. Alle 10 del mattino il 5° caposaldo è completamente riconquistato.

Con le luci del giorno, al Ponte della Magliana, si contano 38 morti. C’è un silenzio irreale, le cui motivazioni strategiche vengono comprese dai comandi italiani poco dopo: i Tedeschi hanno deciso di lasciare agli Italiani il possesso del 5° caposaldo, e lo hanno semplicemente aggirato portando la battaglia nel vicino quartiere della Montagnola. Qui i civili imbracciano il fucile a fianco dei regolari e inaggiano furibondi combattimenti. Il partigiano De Filippi, il fornaio Roscioni e il capitano Incannamorte moriranno da eroi.

Di lì a breve la battaglia raggiunge il quartiere di San Paolo, poi San Giovanni e infine la centrale Stazione Termini. Dal 12 settembre Roma risulta completamente occupata e sottomessa al giogo nazista. Lo rimarrà per nove mesi, fino al 4 giugno 1944.

 

La costruzione del nuovo ponte

 

Sulle ragioni che rendono necessario lo smantellamento della passerella esistono solo fonti orali.

Una prima versione, suggestiva ma a quanto pare non corretta, vuole il ponte irrimediabilmente danneggiato  durante la terribile nottata di combattimenti. Un’altra versione vuole che i Tedeschi, nel corso del 1944, abbiano autonomamente deciso di smantellare il ponte sul Tevere alla Magliana, un po’ per le stesse ragioni per cui era stato costruito: impedire agli Eserciti Alleati di utilizzarlo per dislocare le proprie truppe intorno a Roma. Una terza versione vuole infine che il ponte sia stato colpito, il 12 febbraio 1944, durante l’attacco aereo alleato contro la stazione ferroviaria di Mercato Nuovo (che oggi costituisce la stazione Eur-Magliana della Linea B della metropolitana). La passerella è comunque all’epoca già vetusta, e di smontarla si parlava ormai dal 1930. I lavori per la costruzione del nuovo ponte riprendono nel 1948. Il traffico carrabile sul nuovo ponte viene aperto nel 1952.

Del Vecchio Ponte della Magliana rimangono oggi, ancora visibili, la stampella in riva sinistra su via del Cappellaccio (che fa da cavalcavia sull’Ostiense), la già citata cabina dei comandi elettrici e, sulla riva opposta, la stampella su via Asciano, nelle cui strutture superstiti in acqua pare di poter riconoscere l’impianto di un piccolo imbarcadero.

 
Le insegne del Reggimento Magliana
 

Di recente la collezione del Fondo Riva Portuense ha recuperato uno specimen cartonato (cm 12,50 × 17,50) con le insegne militari del XIII° Reggimento di artiglieria campale «Magliana», che assunse la nuva denominazione proprio per il ricordo della battaglia al Caposaldo della Magliana.

Le insegne riportano i simboli locali affiancati a quelli del corpo dei Granatieri: la Lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo, e i Quattro mori di Sardegna. Lo scudo è sormontato da elementi di artiglieria ed un elmo da granatiere, con il n. XIII indicativo del reggimento. Il cartiglio propone il motto: «Dura la volontà / ferma la fede». Il retro contiene l’acronimo 13° GRACAM Magliana, che sta per «Gruppo di Artiglieria da Campagna».

 

Il Vecchio Ponte della Magliana, monografia pp. 8 di Antonello Anappo, in Biblioteca (Sala 2) inv. 14 /B

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Il vecchio ponte della Magliana, in una foto d'epoca (foto di Antonello Anappo, altre 26 immagini nel Fondo fotografico)

scheda inventariale

Inventario

 

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