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Forte Portuense

Il Forte Portuense, monografia pp. 4 di Antonello Anappo (Fondo Riva Portuense, Roma 2002 )

 

Forte Portuense è un’opera militare difensiva, parte della cintura dei 15 forti militari di Roma chiamata Campo trincerato.

I lavori, preceduti dal grande dibattito sulle fortificazioni di Roma, iniziano 1877 su progetto di Luigi Garavaglia con lo sbancamento della Collina degli Irlandesi e si concludono nel 1881. La struttura occupa complessivamente 4,5 ettari e si sviluppa su una pianta poligonale circondata da un fossato asciutto. Si compone, internamente, di Garitta monumentale, Quartiere d’Armi, Piazza d’Armi e quattro casematte. Al Forte si affiancano tre strutture esterne: la Polveriera (esplosa nel 1891), la residenza-ufficiali di Villa Flora e la più recente caserma della Milizia nella Casa del Fascio Portuense.

 

 

Progetti per la difesa di Roma (1871-1876)

 

Accediamo al Forte Portuense da un sentiero moderno, ricavato riempiendo parte del fossato, con ingresso dal cancello metallico al civico 545 di Via Portuense, di fronte alla chiesa di San Francesco di Sales. Percorrendo questo breve tratto che porta all’ingresso corazzato è opportuno raccontare la storia complessa dell’edificazione dei forti militari di Roma. E lo facciamo partendo da un anno specifico, il 1871.

Nel 1871 le cose difficili del Risorgimento sono state tutte fatte: gli Austriaci sono stati battuti al Nord, con tre guerre d’Indipendenza; i plebisciti hanno annesso gli staterelli centrali; e Garibaldi ha conquistato il Sud, con la bella pagina di storia della Spedizione dei Mille. Anche Pio IX, l’ultimo papa-re, è stato sconfitto a Porta Pia e dal 1° luglio 1871 Roma è capitale. Una volta fatta l’Italia, però, bisogna fare gli italiani: e per fare gli italiani ci vogliono scuole, ferrovie, strade, ospedali, e anche difese militari. Sì, perché non è affatto detto che l’Italia resterà unita per sempre: già una volta, nel 1849, i francesi erano sbarcati dal mare, avevano assediato le mura del Gianicolo avendone ragione in meno di due mesi e avevano riportato il papa-re sul trono.

È in questo clima - in cui convivono l’euforia per il sogno risorgimentale realizzato e la paura che non durerà - che appena 10 giorni dopo la proclamazione di Roma capitalesi si insedia la Commissione per la Difesa generale, con il compito di costituire Roma «in una grande piazza di guerra, munita delle più potenti difese, e sottratta ad ogni qualunque pericolo di bombardamento, capace perciò della più ostinata e durevole resistenza». I burocrati piemontesi sanno infatti che le difese militari della Città eterna sono vecchie di 26 secoli, e che sono tutt’altro che eterne.

Secondo la tradizione, le prime fortificazioni di Roma risalgono a Romolo, di forma quadrata sul Palatino. I suoi successori recintano i Sette Colli, e Servio Tullio unisce il tutto con una cintura continua, le Mura Serviane, rimaste sostanzialmente inviolate per 8 secoli, se si esclude la scorribanda di Brenno nel 390 a.C.

Nel 270 d.C. il saccheggio dei Germani costringe l’imperatore Aureliano ad edificare una seconda cinta difensiva, le Mura Aureliane, lunga 19 km con 15 porte e 387 torri. Le Mura Aureliane sono rattoppate a più riprese: il primo è Onorio, nel 402, che le eleva fino a 16 m, senza che peraltro funzionino contri i Vandali (413) e i Goti (545). Sotto la pressione dei Saraceni Gregorio II nel 725, Gregorio III nel 731 e Adriano I nel 772 fanno altri restauri. Papa Leone IV (847) costruisce una cittadella fortificata intorno ai Palazzi vaticani (la c.d. «Città Leonina»), che tengono al sicuro la la sede del Papato fino al 1527, anno della calata dei Lanzichenecchi.

Questo episodio spinge Papa Paolo III ad affidare ad Antonio da Sangallo il giovane la costruzione della terza cerchia muraria di Roma, le Mura dei Papi, che comprende la Città Leonina, i nuovi tratti bastionati Aventino e Ardeatino, e, dal 1633, la Cinta gianicolense. Grazie a queste mura, nel 1849 gli insorti garibaldini della Repubblica Romana saranno in grado di resistere per un po’ all’assedio delle truppe francesi, equipaggiate con gli armamenti più moderni.

Riportato il papa sul trono, i francesi nel 1867 propongono a Pio IX di costituire la quarta cerchia di mura, esterna alla città, capace di tenere fuori porta le nuove artiglierie a lunga gittata. Il progetto solletica Pio IX, ma il pontefice ha ben altre strategie: vuole mantenere il trono non con le armi, ma conquistando il favore dei Romani con una grandiosa serie di investimenti in opere sociali, dalla ferrovia alla sanità. Ciò si rivelerà un errore: se Pio IX passerà alla storia per il suo «riformismo illuminato» e sarà considerato dalla Chiesa beato e santo, appena 3 anni dopo, il 20 settembre 1870, i Bersaglieri faranno facile breccia a Porta Pia e porranno fine al suo potere temporale.

L’11 luglio 1871, appena 10 giorni dopo la proclamazione di Roma Capitale, si insedia la «Commissione per la Difesa generale del nuovo Stato unitario», che riprende il progetto francese e in breve tempo redige il «Piano generale di difesa». Nella relazione ai lavori si legge: «La Commissione, penetrandosi dell’importanza eccezionale che la conservazione di Roma riveste per l’Italia, e penetrandosi ad un tempo dei manifesti pericoli a cui per la sua vicinanza al mare questa Capitale trovasi esposta, ha riconosciuto l’assoluta indispensabilità di difendere colla più efficace energia l’accesso a qualunque avversario…».

Il Piano prevede la costruzione di un «campo trincerato», cioè una struttura complessa composta di una moderna cittadella militare a Monte Mario, una cintura di 7 forti corazzati di primo ordine sul fronte marino (Monte Mario, Casale Braschi, Boccea, Aurelio, Troiani-Bravetta, Portuense, Appio) e 16 di secondo ordine sparsi intorno alla città, con un poligono di trincee scavate per unire un forte e l’altro. La progettazione è curata per l’aspetto architettonico da Luigi Garavaglia, mentre il Ministero della Guerra e la Direzione del Genio Militare di Roma curano gli aspetti costruttivi. I forti, scrive lo studioso di cose militari Michele Carcani, «hanno principalmente lo scopo di coprire e difendere la capitale del Regno da un colpo di mano che un nemico, di noi più potente sul mare, potesse tentare, mediante uno sbarco sopra uno dei tanti punti indifesi e di facile approdo del Litorale tirreno». Scrive Carcani con enfasi risorgimentale: «Un nuovo aggressore, da qualunque parte si avvicinasse, troverebbe oggi non quelle sole mura che seppero resistere ad Alarico, a Genserico, a Vitige e a quanti altri barbari antichi e moderni dai Galli di Brenno agli avventurieri del contestabile di Borbone, si attentarono di violare il sacro ruolo dell’Eterna città». Ma il piano, dal costo stimato di 42 milioni di lire, si arena di fronte alla mancanza di fondi. Il particolar modo, la Legge per spese militari di fine 1871 non contiene i fondi per la costruzione dei forti.

Nel 1873 la Commissione elabora il nuovo «progetto in economia», che riduce i costi a soli 10 milioni. Esso prevede 10 o 12 forti da fare subito e tutto il resto rimandato a tempi migliori. Ma anche questo progetto, come è facile immaginare, non viene finanziato.

Nel 1875 anche il progetto in economia viene accantonato, e al suo posto viene elaborato un «progetto di fortificazioni mobili», con la legge che accorda a Roma i «Mezzi per approvvigionarsi di materiale del genio e di artiglieria» del 1875. In pratica vengono provvisti pochissimi fondi per costruire delle fortificazioni mobili da realizzare all’occorrenza, direttamente sul teatro delle operazioni belliche, non appena avuto notizia dello sbarco ostile. Il campo trincerato, in questo gioco al ribasso, in pratica non esiste ormai più. E per paradosso, neppure il progetto di fortificazioni mobili sarà reso esecutivo. Ci vorrà la crisi diplomatica tra italia e Francia del 1876 per sbloccare tutto.

Ma eccoci arrivati, intanto, di fronte all’ingresso monumentale del forte.

 

 

L’ingresso corazzato
 

Ci troviamo sul fronte di gola, cioè il lato più riparato del forte, quello che guarda verso la città ed è quindi il meno esposto al nemico, che si immagina possa venire dal mare, sul fronte opposto chiamato fronte di tiro. Secondo la prassi militare è sul fronte di gola che si colloca l’ingresso di una fortificazione. Il vialetto moderno che abbiamo percorso termina dunque in una rampa in acciaio, che porta sull’antico ponte levatoio (o ponte mobile), oggi modificato in ponte fisso in calcestruzzo per permettere un ingresso agevole. Originariamente il ponte mobile si componeva di due parti: una parte fissa chiamata «dormiente» e una apribile, il «levatoio». Il levatoio originale, in legno, è andato perduto; al suo posto si trova oggi una soletta in cemento armato, che poggia sui pilastri in ghisa originali che sostenevano il dormiente.

Dal ponte accediamo fin sotto l’ingresso monumentale del forte. L’ingresso, chiamato in gergo militare garitta, è costituito da due elementi architettonici: l’impalcato a prova di bomba (un telaio in calcestruzzo e riporti di terra, solidale con la roccia di tufo della Collina degli Irlandesi, che regge il portone d’ingresso) ed il portone corazzato vero e proprio, in ferro. L’impalcato presenta elementi decorativi (le lesene, l’architrave, i rivestimenti bugnati): la particolarità però è che essi hanno una mera funzione estetica e nessuno di essi è una struttura portante. Di recente il portale è stato anche riarmato: sono state cioè rimontate sull’architrave le insegne militari del Forte, con il nodo sabauda (precedentemente riposte in magazzino). La studiosa Francesca Ritucci, nel suo bel lavoro di studio sul Forte spiega la presenza di elementi decorativi, in un complesso dal carattere meramente funzionale: «Quello che vediamo è un lungo muro di cinta sempre uguale a se stesso fino al momento in cui, in prossimità delle porte, il progettista sente l’esigenza di una nobilitazione, il bisogno di collegarsi alla Storia, abbandonando la mera funzione cui è relegato un muro. Ed è nel portone d’ingresso che si nota l’incredibile scollamento tra due memorie e due modi di progettare, è qui che l’architetto ricorre al lessico avuto in eredità dal Rinascimento, riprendendolo al punto in cui lo hanno lasciato i Sangallo e Leonardo».

All’interno dell’impalcato è montata la porta corazzata in ferro, restaurata a metà anni Duemila e depurata dalla ruggine. La ricercatrice Ritucci ha ritrovato una pagina del giornale Il Tempo del 1961, che ne descrive le precarie condizioni già in anni lontani: «Un misero resto di garitta espone al vento e alla pioggia un superstite scheletro di ferro, con qualche brandello di cemento ancora aggrappato di qua e di là». Dal punto di vista militare la garitta assolve alla difesa passiva - impedisce cioè l’ingresso di invasori dentro il forte - ma anche alla difesa di prossimità: da due ambienti laterali dotati di feritoie posti dietro l’impalcato la garitta monumentale era in grado di sparare in tiro frontale, in caso di attacco da distanza ravvicinata.

Varcata la porta corazzata ci ritroviamo in un androne a pianta rettangolare, con volta a botte, affiancato da quattro ambienti funzionali: la stanza dell’ufficiale di guardia, la stanza del corpo di guardia, l’ascensore delle polveri (provenienti dalla polveriera al piano inferiore) ed infine il piccolo deposito di polveri per la difesa di prossimità.

Superati i quattro ambienti e l’androne si accede a un crociccio, percorso dalla Grande galleria anulare, che è una strada sotterranea con volte a botte che percorre l’intero perimetro del Forte. Svoltiamo a destra entrando in galleria, alla luce delle torce elettriche. Se qualcuno dovesse perdersi, in questi ambienti completamente ipogei, privi di qualsiasi riferimento esterno, è sufficiente continuare a camminare; la galleria è anulare: prima o poi ritornerà all’ingresso.

 

 

Il campo trincerato (1877-1878)
 

Durante il tratto in galleria, alla sola luce delle torce elettriche, riprendiamo il racconto della costruzione dei forti, che abbiamo interrotto al momento in cui, dopo cinque anni di dibattiti, è tutto fermo al punto di partenza. Nel 1876 un improvviso «terremoto politico» riapre la partita.

Le elezioni parlamentari del 1876 rompono infatti tutti gli equilibri tradizionali: la Destra storica è battuta dallo schieramento emergente di Agostino Depretis, ma guai a chiamarla Sinistra perché era espressione della borghesia urbana. Per la prima volta però l’aristocrazia conservatrice, legata a filo doppio alle masse rurali e proletarie di città, è fuori dal governo. Ed il fatto è inedito e destabilizzante. La Francia intende approfittarne, e prepara una spedizione navale su Roma, volta a restaurare, con l’appoggio delle masse popolari romane, l’anziano ma assolutamente non rassegnato Pio IX.

Il nuovo primo ministro Depretis, allertato circa le intenzioni francesi, vuole evitare che masse popolari e truppe straniere si saldino: inevitabile a questo punto resuscitare il vecchio progetto di campo trincerato, per tenere a bada la plebe in città e lo straniero fuori porta in aperta campagna. Per questo prova a convincere il Parlamento a finanziare le opere, e il Re ad autorizzarle per decreto. In grande, grandissima fretta, ci riesce.

Un primo piano vede la luce ad inizio 1877, e parla di 10 forti e 4 batterie. Un decreto regio del 12 agosto 1877, riguardante la «costruzione di fortificazioni a difesa di Roma, nonché di strade, magazzini e altri fabbricati» dichiara di pubblica utilità la cittadella di Montemario e i primi 6 forti di prima classe. Sui dettagli funzionali torna ancora una volta utile Michele Carcani. I forti, scrive lo studioso «metteranno al coperto la capitale da un bombardamento». Carcani, con enfasi risorgimentale, collega idealmente la quarta cerchia con le tre che la hanno preceduta: «Un nuovo aggressore, da qualunque parte si avvicinasse, troverebbe oggi non quelle sole mura che seppero resistere ad Alarico, Genserico, Vitige e a quanti altri barbari antichi e moderni […] si attentarono di violare il sacro ruolo della eterna Città».

Il progetto di massima è compilato dal generale del genio Giovanbattista Bruzzo, allora comandante della Divisione militare territoriale di Roma, con l’approvazione del ministro della Guerra, generale Mezzacapo. Il progetto prevede «opere permanenti in muro e terra» secondo il modello tedesco o prussiano, collegate da una linea poligonale di trincee lunga 40 km. I forti sono 16 e sono disposti «a cavaliere delle strade e degli sbocchi principali che dominano le più importanti vallate». Le «località più acconce» vengono scelte sulla corona di colli intorno Roma, con distanza reciproca fra ogni forte di 2-3 km nel settore rivolto al mare (è maggiore nel versante interno), mentre la distanza tra ogni forte e le mura urbane è di 3-4 km.

I lavori iniziano con febbrile attività nell’ottobre 1877, sotto la direzione del progettista Luigi Garavaglia. I primi forti ad essere realizati sono quelli sul versante esposto al mare: Monte Mario, Braschi, Boccea, Aurelio, Troiani (Bravetta) e Portuense, mentre sul versante interno viene realizzato il solo Forte Appio.

Non disponiamo di relazioni sull’andamento dei lavori, condotti del resto in segretezza e con una certa celerità. La ricercatrice Francesca Ritucci, che si è cimentata nella loro ricerca, ha così annotato: «I lavori per la costruzione dei forti […] furono condotti con una certa urgenza ed uniforinità. Non era rilevante documentare quale architetto od ingegnere, o quali e quanti operai fossero impiegati nei lavori di costruzione; elaborare rapporti che documentassero le fasi tecniche e progettuali, grafiche ed eventualmente fotografiche. Nulla di tutto questo è stato possibile rintracciare, tranne i disegni originali elaborati per lo studio delle piante e delle sezioni delle murature, conservati presso l’ISCAG».

In generale, per la costruzione dei forti, si procede rapidamente, senza una specifica autorizzazione per ogni singola opera: il ministro della Guerra, ottenuta dal Consiglio di Stato l’autorizzazione complessiva, ottenuto il nulla osta dell’ufficiale preposto al singolo progetto dava corso all’esecuzione dei lavori. Il controllo sui lavori è operato da una commissione speciale, di cui fanno parte il generale Bruzzo, due comandanti territoriali del Genio dell’Artiglieria, il direttore del Genio militare di Roma e i singoli capitani del Genio cui è affidata la progettazione del singolo forte.

La commissione adotta un modo di procedere abbastanza uniforme: effettua un primo sopralluogo nella località prescelta per la costruzione del forte; seguono delle riunioni per stabilire la conformazione della struttura secondo le condizioni orografiche del terreno e gli adattamenti necessari con sbancamenti e riporti di terra, che si concludono con un progetto di massima; a questo punto i genieri appongono sul posto dei picchetti in legno e corda che delimitano il tracciato del forte, e la Commissione effettua il secondo sopralluogo; a questa fase seguono nuove riunioni, nelle quali si elaborano ulteriori modifiche, che si concludono con la redazione di un progetto definitivo. L’ultimo passaggio è la firma per approvazione del Ministro della guerra, che in alcuni casi visita di persona l’area del cantiere. E di lì iniziano le fasi realizzative vere e proprie.

 

 

La piazza d’armi
 

Al termine del tratto in galleria troviamo, improvvisa, la luce, che irrompe diretta da una piazza scavata al centro esatto del forte, circa due piani sotto il piano di campagna.

È necessaria, a qusto punto, una spiegazione su cosa è un forte, e perché un forte è diverso da un castello. Un castello è sostanzialmente un’opera di costruzione: si sceglie un’altura prominente e su di essa si edificano in elevazione mura, torrioni e tutti gli spazi per la vita della comunità urbana del castello e della guarnigione militare. Il forte invece è l’esatto contrario, è un’opera di scavo: si prende un’altura prominente, e tutte le opere vengono scavate al di sotto del piano di campagna, affinché, da fuori, nulla sia visibile della macchina da guerra che si trova al di sotto. Non vi sono torri, o luoghi della vita quotidiana: il forte è un gigante dormiente, che rimane per la gran parte del suo tempo disabitato. Poi, al segnale di allarme, i militi alloggiati in altre parti della città, convergono in gran fretta verso il forte interessato dalle operazioni e la macchina bellica si risveglia. Quanto detto è pienamente comprensibile osservando le caratteristiche orografiche della piazza d’armi di Forte Portuense.

L’altura dove sorge il forte è chiamata in origine Collina degli Irlandesi, in memoria di un casolare di proprietà del Collegio Irlandese, che viene distrutto per far posto al forte. La collina è il punto orografico più alto dell’area portuense, interseca la Via Portuense, controlla a vista la Valle del Tevere sulla sinistra, dista 3,5 km dal Bastione di Porta Portese, ed infine traguarda (cioè controlla a vista) sulla destra il fianco sinistro del vicino Forte Bravetta. Nell’estate 1877 la commissione militare ispeziona l’altura degli Irlandesi per una prima ricognizione. In quell’occasione la commissione già dispone profondi modellamenti sulla collina: lo sbancamento della sommità e lo scavo per 8 metri circa di un’area poligonale sotto il piano di sbancamento che diventerà la piazza d’armi, e la formazione con i materiali di riporto di una cintura di spalto artificiale scarpata in direzione dell’odierno largo La Loggia, e dispone infine la deviazione a valle di via Portuense, come ostacolo ad un’eventuale avanzata nemica.

La commissione torna sulla collina una seconda volta, a distanza di pochi giorni, e visiona sul terreno il tracciato delimitato da picchetti. Dai picchetti apposti sul terreno emerge il disegno di un forte corazzato circondato da un fossato asciutto lungo il perimetro murario lievemente scarpato. Il progetto viene approvato dal ministro della Guerra, generale Luigi Mezzacapo. I lavori iniziano il 12 novembre 1877, per opera della  Divisione Materiale della Direzione del Genio militare.

La ricercatrice Francesca Ritucci ha rinvenuto un carteggio da cui risulta una celere esecuzione dei lavori. Il 7 febbraio 1878 il generale Enrico Cosenz, ex comandante della Divisione militare di Roma, scrive al ministro della Guerra per invitarlo a visionare il cantiere: «Signor Generale, ho ricevuto i suoi due biglietti e l’accerto che il ritardo del primo non produsse nessun inconveniente. Io desidererei che ella vedesse i forti Portuense e Troiani e sono sempre a sue disposizioni. Queste gite lungi dall’essere un disturbo per me, mi sono invece molto utili». Dal biglietto si capisce chiaramente che la costruzione del Forte è avviata ed il Ministero della guerra Bruzzo segue l’andamento dei lavori, per il tramite del generale Cosenz.

Sappiamo che Forte Portuense è costato 733.000 lire e, rispetto agli altri forti successivi, che, sebbene più piccoli, costeranno di più.

Alla piazza d’armi, che è chiamata anche spianata, spiazzo interno o cortile, è la parte del forte destinata alle esercitazioni militari e alle adunanze. Misura circa mezzo ettaro e ha forma trapezoidale irregolare, con il lato sinistro attraversato dal corpo longitudinale del «traversone», di cui parliamo a breve. Almeno in origine la piazza era in parte coperta con un pavé in sampietrino.

La presenza del corpo centrale del Traversone conferisce alla piazza una forma ad U. Il braccio rivolto verso la città è in pratica uno stretto spazio di passaggio, la cui parete di scarpa è inclinata ed occupata oggi come in origine da vegetazione e da una rampa di accesso agli spalti del piano superiore. Dopo il tratto ricurvo a gomito si entra nella piazza vera e propria, costituita da un’ampia spianata in direzione del fronte marino. La scarpa del Traversone è inclinata e inerbita, e percorsa da una rampa, mentre il muro di scarpa del fronte marino è caratterizzato dai prospetti verticali del Quartiere d’armi, con le serie ripetitive di arcate che danno accesso alle camerate di fanteria.

Su questo fronte sono presenti elementi decorativi: come i marcapiani in travertino, i laterizi fini di colore ocra e rosso, e le gronde in ghisa (i c.d. doccioni) per il drenaggio delle acque provenienti dagli spalti sovrastanti. Vi era su tutta la piazza, un impianto di illuminazione elettrica in rame a doppio binario, con elementi di raccordo in porcellana, che permetteva l’addestramento notturno. Nei pressi del gomito è ancora oggi presente l’imbocco di una cisterna per la raccolta delle acque reflue; poco distante, nella galleria che dà accesso alla casamatta rivolta ad est, è presente un pozzo con rubinetteria che attingeva acqua dalla cisterna. Complessivamente le scarpe inclinate conferiscono alla piazza l’aspetto di un anfiteatro. Il paramento murario è realizzato in cotto, mentre le cornici delle aperture sono in travertino, sovrastate da piattabande ad arco ribassato, con conci che si dipartono a raggiera. In alto il cornicione in travertino e la balaustra sono le ultime strutture del muro di scarpa prima del terrapieno.

Il copo centrale della piazza d’armi, denominato Traversa o Traversone, è una costruzione in muratura, la cui funzione militare era ostacolare la penetrazione nemica all’interno del Forte. In caso di attacco con penetrazione fulminea di forze nemiche all’interno del forte, il Traversone costituiva un ostacolo interno e impediva il tiro d’infilata nelle camerate di fanteria, che potevano così avere il tepo di reagire in armi. Si tratta di una serie longitudinale di piccoli camerini e stanze, le cui funzioni erano: il Comando in tempo di pace, la stanza dell’Ufficiale medico, l’infermeria, la Farmacia, una latrina e alcune riservette di munizionamento. Il Traversone è coperto da terreno inerbito ed è quindi a prova di bomba, anche se la copertura è meno robusta di quelle sopra il Quartiere d’Armi. Il traversone è attaccato all’androne d’ingresso tramite un grande camerone, adibito in origine a Cucina e Vivanderia.

Benchè Forte Portuense non sia stato mai direttamente investito da azioni belliche, è diffusa la memoria popolare che vuole che la piazza d’armi sia stato il triste scenario di alcune esecuzioni sommarie durante la Seconda guerra mondiale. In particolare la memoria popolare vuole che, di tanto in tanto, nel quartiere Portuense si siano uditi gli echi di gragnuole di colpi di fucile, ben diversi da quelli delle esercitazioni, lasciando intendere che all’interno del forte si siano svolte esecuzioni sommarie per fucilazione. Questa circostanza non è stata riscontrata nei mattinali della Questura, nei quali i nomi dei fucilati italiani, anche in caso di esecuzione sommaria, venivano comunque riportati. Si è propensi quindi a pensare che la memoria degli anziani abbia confuso Forte Portuense con il vicino Forte Bravetta, luogo purtroppo deputato dal Regime fascista alle esecuzioni capitali. Negli Anni Novanta, nel corso di pubblici dibattiti, la questione è stata pubblicamente discussa e l’ipotesi di esecuzioni sommarie è stata affermata da una pluralità di testimoni: non si tratta di testimoni diretti perché nessun civile poteva entrare nel Forte, ma di abitanti del quartiere pronti a giurare che le gragnuole di fucilerie che duravano meno di un minuto ed erano seguite dal silenzio, c’erano state per davvero. Purtroppo, ad oggi, non è possibile né affermare né smentire questa circostanza.

 

 

Garibaldi, «eroe contro»
 

Tra le voci contrarie al Campo trincerato vi è quella lucida e autorevole dell’eroe dei Due mondi Giuseppe Garibaldi.

Il condottiere esprime le sue posizioni in una corrispondenza datata fra marzo e agosto 1877 con il direttore della «Gazzetta di Roma - La Capitale», la cui riscoperta e studio si deve alla ricercatrice Ritucci.

La prosa di Garibaldi è gradevolissima, in uno stile ancora oggi immediato e moderno che unisce l’enfasi risorgimentale con la schiettezza e l’ironia di chi la sa lunga. Uno dei primi scritti, intitolato Fortificazioni di Roma e datato 20 marzo 1877, così conclude: «Speriamo che questi milioni non servano soltanto ad ingrassare gli appaltatori e i generali! Sono le loro borse che vengono le più volte fortificate!».

Ma il talento di Garibaldi è nel raggiungere le corde del cuore, infervorare gli animi: Garibaldi è uno che sa partire in mille e ritornare con in mano una Nazione. Il 16 agosto Garibaldi scrive: «Signor Direttore, la Patria non vive dietro i muniti castelli! Essa vive nel petto dei cittadini! Coteste parole vorrei le meditassero Depretis e Mezzacapo nel loro poco serio progetto di fortificar Roma! Roma ha bisogno d’esser abbellita, preservata dalle inondazioni, non attorniata da fossi, che sono una sèntina di febbri!».

Non mancano argomentazioni militari stringenti: il Campo trincerato non ferma i bombardamenti di lunga gittata. «Ricordatevi - scrive sarcastico il generale - quanto hanno resistito le fortificazioni di Parigi, Silistria, Rustsciuk e Nicopoli!». E poi c’è il fattore-tempo: «A eriger fortificazioni occorre troppo, possono scoppiare dieci guerre prima che esse siano compiute!». Garibaldi critica nel merito l’intero progetto di fortificazioni: non serve fortificare l’intera città, è sufficiente fortificare una cittadella ristretta «tra Vaticano, Gianicolo, Aventino, Palatino, Campidoglio, Esquilino e Pincio», senza costruire molto di nuovo, ma semplicemente rimodernando le vecchie Mura pontificie con l’aggiunta di una moderna piazzaforte a Monte Mario.

Man mano che la corrispondenza va avanti, Garibaldi getta sul tavolo la sua proposta, radicalmente alternativa: abbandonare l’idea dei forti e impiegare i fondi per armare una Guardia nazionale con fucili di ultima generazione, i temibili «chassepots a retrocarica». Garibaldi gli chassepots li conosce bene: è con gli chassepots che i Francesi gli hanno dato una sonora batosta nel 1866, a Mentana. La chiave, dice Garibaldi, è nell’innovazione tecnologica. Con la retrocarica cambia il modo di far guerra: il bossolo non viene più introdotto da davanti (dalla bocca della canna, come avviene per i moschetti), ma dalla parte posteriore (la culatta); quando il cane colpisce il bossolo liberando la carica, l’otturatore si apre automaticamente, espellendo il bossolo vuoto e preparandosi ad accoglierne immediatamente uno nuovo. Questa rivoluzione tecnologica fa passare dai 3 o 4 colpi-minuto tradizionali a 10. In poche parole un fuciliere con chassepots vale tre moschettieri tradizionali, la potenza di fuoco triplica. Leggiamo la prosa diretta di Garibaldi, in una lettera del 18 agosto: «Tutti converranno che le migliori fortificazioni di Roma sono i petti de’ suoi cittadini. Ebbene, non si è ancora armata la Guardia nazionale di Roma di fucili a retrocarica! Si avrà bel spendere per alzare fortificazioni, saranno denari buttati! Le vedremo cadere in mano al nemico senza contrasto».

Neanche a dirlo, appena Garibaldi scopre le carte con l’idea di armare la Guardia nazionale, trova l’immediata e ferma opposizione di Agostino Depretis, inorridito alla sola idea di armare le masse di Roma, che ritiene teste calde influenzate dalla Chiesa, capaci di insorgere in ogni momento per riportare sul trono il Papa Re. Depretis non aveva poi tutti i torti: Pio IX a Roma i suoi sostenitori ce li ha ancora. Per contro, De Pretis è convinto della bontà del progetto di Campo trincerato. O meglio, De Pretis sa che Garibaldi sul piano militare ha ragione (le fortificazioni nascono già obsolete, e servirebbero a poco in caso di attacco francese); ma il campo trincerato è la stessa tecnologia militare che hanno i Francesi. De Pretis, con la costruzione del campo trincerato, vuole lanciare agli avversari d’Oltrelpe un messaggio chiaro: se sbarcate a Roma combatteremo ad armi pari, sarà guerra vera, e la vostra vittoria non è certa. Il sottile De Pretis gioca insomma un’arma psicologica, prima ancora che militare; Garibaldi invece preferisce l’arma concreta dei fucili a retrocarica.

Le posizioni di Depretis e Garibaldi sono troppo diverse per trovare una sintesi. Mentre Garibaldi scrive, la decisione di costruire i forti è già presa. Il Regio decreto del 12 agosto 1877 approvava già approvato la costruzione di Forte Portuense e degli altri 6 forti. Poco importa, infine, ricordare che la Storia ha dato ragione a De Pretis e torto a Garibaldi: la Francia, impressionata dal gran baccano intorno ai forti militari di Roma, finì per credere che gli Italiani facevano sul serio. E rinunciò ai progetti di invasione.

 

 

Il quartiere d’armi
 

Il Quartiere d’Armi è una caserma ipogea, destinata ad ospitare i militari del Forte. Si trova due piani sotto il piano di campagna (circa 9 metri al di sotto), sebbene riceva luce naturale dalla piazza d’armi, anch’essa ipogea.

La particolarità di questa caserma è che, contrariamente alla prassi militare, non si trova nel fronte di gola (cioè quello che guarda la città, più riparato da un eventuale cannoneggiamento nemico), ma proprio sul fronte di tiro, seppur coperto da un robusto terrapieno a prova di bomba.

Si sviluppa su un unico piano alla stessa quota della piazza d’armi, anche se non mancano riservette poste nei vani scala di collegamento con i livelli superiori delle batterie di artiglieria. Si estende per complessivi 2500 metri quadri.

Gli ambienti, denominati tutti «ricoveri», sono di varie tipologie: il tipo più comune è la camerata di fanteria (grosso stanzone con volta bottata destinata all’alloggio in branda della truppa), chiamata in gergo militare anche ricovero di III classe; ma vi sono anche vi sono anche stanze più piccole di II o I classe destinate agli ufficiali e agli ufficiali superiori, magazzini per il munizionamento, latrine e locali di servizio. Gli ambienti di III classe non sono intonacati ma presentano a vista murature in tufo e selce, con volte in calcestruzzo e mattoni cotti.

Due lunghi corridoi longitudinali con pietre a vista, sorretti da serie di archi, attraversano l’intero quartiere d’armi. I corridoi si caratterizzano per le prospettive dai lontanissimi punti di fuga, in cui le arcate che delimitano le camerate di fanteria costituiscono un elemento modulare. Così Fara: «Una volta stabilita la forma, cioè il numero, la grandezza principale, il resto diventa sottomultiplo. La fortezza stessa è a suo modo un grande multiplo, un moltiplicatore di forza e di tempo. La sua arma è il ritardo, la sua forza nel produrre lentezza, nel dilatare il tempo vedere la fortezza come una soglia tra fuori e dentro, un margine mobile nello spazio».

Nelle camerate è ancora oggi visibile, sul pavimento, il segno lasciato delle brande, disposte in serie come nei convitti. È stato calcolato che la capacità di alloggio delle camerate è di complessive 700 persone, tra fanti e artiglieri. Lo studioso di cose militari Carcani spiega però che non si tratta di truppe residenti, ma di truppe, normalmente alloggiate altrove, che in caso di attacco nemico potevano concentrarsi nei forti per il solo tempo necessario alle operazioni di difesa: «All’interno di ognuno di essi si troverà un limitato presidio, in massima parte composto di milizie mobili e territoriali, per opporsi almeno fino all’arrivo di un esercito di soccorso».

Alle due estremità del quartiere d’armi, e centralmente, nella rampa che porta alla casamatta, sono presenti alcune ridotte. Si tratta di locali di piccole dimensioni, in cui poter proseguire un’ultima resistenza, anche qualora il forte fosse invaso con successo dal nemico: si trattava di fortini all’interno del forte. Sempre a margine del quartiere d’armi si trovano alcune stanze interne di I o II classe, con pareti intonacate, nelle quali è ancora visibile l’impianto di illuminazione a doppio binario su fili in rame con raccordi in porcellana.

Dal quartiere d’armi, attraverso scale elicoidali poste in fondo a talune delle camerate, perforando il terrapieno antibomba, si accede a due livelli di piani superiori. Il primo livello è ancora costituito da ambienti ipogei privi di luce naturale (si tratta probabilmente di depositi, che all’occorrenza potevano diventare delle ridotte), mentre il secondo livello, immediatalente al di sotto del piano di campagna, è costituito da camminamenti e osservatori che davano accesso alle postazioni superiori dei piani di batteria.

Le batterie sono postazioni in piattaforma a cielo aperto per il tiro delle artiglierie, intervallate traverse, elementi di separazione disposti perpendicolarmente al parapetto, che servivano a proteggere dai tiri d’infilata. Nel piano di batteria è ancora oggi visibile un camminamento a cielo aperto, protetto da parapetto, che serve come percorso di comunicazione, e serviva anche alle sentinelle per compiere il giro di ronda.

Nel piano di batteria - oggi inerbito e completamente riconquistato dalla fitta vegetazione - sono ancora oggi riconoscibili delle piazzole per il tiro delle artiglierie, con piccole riservette, e postazioni per cannoniere in barbetta, così chiamate dal divampare del fuoco che, bruciando l’erba cresciuta sull’argine sottostante la bocca di fuoco (troniera), sparando, «fa la barba» al terreno antistante.

Le artiglierie, oggi completamente rimosse, erano delle consuete tre tipologia in funzione del calibro (diametro interno della canna): calibro piccolo (21-100 mm), medio (101-210) o grosso (superiori). Erano presenti sia mortai che obici (artiglierie con rapporto tra lunghezza della canna e calibro inferiore a 22) sia cannoni (lunghezze della canna superiori).

Sul piano delle batterie sono inoltre riconoscibili delle torrette in muratura per l’osservazione. Si conosce infine l’esistenza, senza che sia possibile individuarne i resti, di un telegrafo ottico. Si trattava di un mezzo di comunicazione in grado di porre in contatto un forte con quello vicino, e quindi, attraverso un sistema di rimbalzo delle comunicazioni, Forte Portuense con tutti gli altri frti di Roma. Si trattava di un congegno di riflessione su specchi: le riflessioni brevi (punti) e quelle lunghe (linee) componevano vocaboli in alfabeto morse. Vi erano poi altri segnali convenzionali.

Il telegrafo ottico ci dà modo di ricordare gli altri due forti vicini, e precisamente Forte Bravetta (2 km a nord) e Forte Ostiense (2 km a sud), con i quali c’era un efficiente sistema di traguado (l’uno copriva le spalle all’altro, dal punto di vista militare). In particolare le artiglierie di Forte Portuense potevano battere a fuoco o cannoneggiare le alture del Casaletto, di Affogalasio, di Monte delle Piche, oppure sul versante opposto la Valle del Tevere, i Prati di Tor di Valle, i Monti del Truglio e le colline di Santa Passera. In questo modo Forte Portuense presidiava la ferrovia e lo snodo ferroviario retrostante di Trastevere. Rispetto alle Mura (Porta Portese) il forte si trova 3,5 km  più avanti.

Ma ritorniamo alla nostra caserma ipogea. Al di là dello spesso strato di terre (sia roccia naturale che terra di riporto), che costituisce il terrapieno antibomba, si trova il muro verticale di scarpa in laterizio, con funzione di contenitore delle terre e di fronte di tiro, esposto all’eventuale cannoneggiamento nemico.

All’interno di ognuno di essi si troverà «un limitato presidio, in massima parte composto di milizie mobili e territoriali, per opporsi almeno fino all’arrivo di un esercito di soccorso».

Va detto infine che Forte Portuense non è stato mai direttamente coinvolto in azioni militari. Un aneddoto popolare, che ha trovato riscontro anche dal diretto interessato, vuole il 10 settembre 1943, quando i Tedeschi bussarono al Forte Portuense, l’unico fante di presidio del Forte li abbia fatti entrare e sia stato pacificamente disarmato, senza spargimento di sangue.

A fine 1881 la collina ha l’aspetto di un «tartaruga corazzata», da cui sporgono i soli piani di batteria, la cannoniera e le lunette laterali. La geometria complessiva disegna un poligono prussiano, cioè un trapezio irregolare. Le sole sporgenze sono quelle della casamatta sul fronte, degli orecchioni alle estremità dei fianchi e della caponiera sul fronte di gola.

 

 

Il lungo sonno (1879-1945)
 

Nel frattempo il generale Bruzzo, divenuto ministro della guerra, reperisce dal 1879 i finanziamenti per altri 5 forti nel versante interno: Forte Ardeatino, Casilino, Prenestino, Tiburtino e Pietra Lata. La direzione questa seconda ondata sarà però affitata non più a Garavaglia ma a Luigi Durand de La Penne.

Nuovi finanziamenti completano la difesa del Tevere, con la costruzione dei forti Ostiense (a sud) e Monte Antemne (a nord). Sul lato nord viene inoltre costruito il forte Trionfale, e vengono costruite le 4 batterie di raccordo fra i forti: Tevere, Acquasanta (Appia Pignatelli), Porta Furba e Nomentana.

Nel 1884 la cerchia trincerata è completa. Il costo complessivo è stato di 23 milioni di lire.

Così lo storico militare Michele Carcani racconta l’alacre costruzione dei forti:

«In un lasso di tempo di soli cinque anni, e con una spesa di circa 23 milioni, si è costruita intorno a Roma una cinta di opere permanenti formate da 15 forti staccati, i quali metteranno al coperto la Capitale da un bombardamento e con un limitato presidio, in massima parte composto da milizie mobili e territoriali, permetteranno di opporsi ai tentativi di un corpo nemico sbarcato nel prossimo litorale. [...] Restava a dar loro un nome e lo fece il Regio 1° novembre 1882 [...] ovunque sorge uno dei novi forti, ivi è un ricordo storico, un celebre nome, cioè o della strada o della collina, o del casale, o della tenuta dove sorgono».

Con enfasi risorgimentale Carcani commenta: «Un nuovo aggressore, da qualunque parte si avvicinasse, troverebbe oggi non quelle sole mura che seppero resistere ad Alarico, Genserico, Vitige e a quanti altri barbari antichi e moderni dai Galli di Brenno agli avventurieri del Contestabile di Borbone, si attentarono di violare il sacro ruolo della Eterna Città».

La seconda ondata fra il 1879 e il 1884

Nel frattempo Bruzzo, divenuto ministro della guerra, reperisce i finanziamenti (1879) per altri 5 forti sulla sinistra del Tevere: Ardeatino, Casilino, Prenestino, Tiburtino, di Pietralata. La direzione questa volta è affidata a Luigi Durand de La Penne.

Nuovi finanziamenti completano la difesa del Tevere, con la costruzione dei forti Ostiense (a sud) e Monte Antemne (a nord). Sul lato nord viene inoltre costruito il forte Trionfale, e vengono costruite le 4 batterie di raccordo fra i forti: Tevere, Acquasanta (Appia Pignatelli), Porta Furba e Nomentana. Nel 1884 la cerchia trincerata è completa. Il costo complessivo è stato di 23 milioni di lire.

Aspetto nel 1890

Una relazione militare riferisce che nel 1890 i forti sono ancora pienamente rispondenti alla funzione per la quale erano stati creati:

«Un ingegnere militare che intorno al 1890 svolgeva l’incarico di misurare le sottili calibrate interazioni visive delle opere di fortificazione con i settori esterni di competenza, puntualmente percepiva la strutturazione del campo trincerato nella stia datità visiva e nella dimensione d’interno-esterna».

Il 23 aprile 1891 c’è lo scoppio accidentale della Polveriera di Forte Portuense.

Un carteggio del 1920 fra uffici della Direzione del Genio, mostra come Forte Portuense, sebbene ancora dotato di artiglierie e sede di comando militare, avesse perduto ormai ogni importanza strategica. Nelle missive si discuteva «affitto dell’erba come pascipascolo del terreno annesso al Forte Portuense» ad un pecoraio locale.

«L’Ufficio Tecnico di Finanza - riporta la missiva conclusiva, datata 25 novembre 1920 -, dopo aver effettuato un sopralluogo, ha stabilito il relativo canone d’affitto di £. 290 per l’erba invernale e maggenga, per una superficie totale di circa 1 Ha».

Una ventina di anni dopo, una relazione dell’Ufficio tecnico erariale parla ancora di questioni rurali:

 «La vegetazione è molto scarsa, anche perché il terreno stesso si presenta molto arido, e sul luogo non risulta essere un sufficiente quantitativo di acque che permetta una regolare irrigazione».

Nel 1886 la cintura trincerata di forti intorno a Roma è completa. Ed è ormai fatalmente già inadeguata alle funzioni militari per cui era stata creata.

La studiosa Francesca Ritucci ha riscoperto un lungo carteggio, tra Erario e uffici tecnici del Genio, in cui già dal 1920 ci si interroga sul futuro del Forte. A quell’epoca risulta che il Forte, sebbene ancora armato e sede di comando, ha perso di importanza strategica: lo si deduce dalla complessa trattativa, tra il Genio e un pecoraio locale, per l’affitto a pascipascolo dei terreni sul fossato. Alla fine la vince il pecoraio: con la risoluzione 25 novembre 1920 l’Ufficio Tecnico fissa «il canone in £. 290». Erba invernale e maggenga compresi. Una ventina di anni dopo una relazione erariale si occupa ancora di questioni rurali: il pecoraio se n’è andato e «la vegetazione è molto scarsa, il terreno arido; non risulta sufficiente quantitativo di acque».

Durante la seconda guerra mondiale il forte non ebbe un coinvolgimento diretto in azioni belliche, se si esclude il fiancheggiamento alle azioni del forte Ostiense nella notte fra l’8 e il 9 settembre 1943. Durante pubblici incontri, l’ultimo militare rimasto di presidio al forte (da sempre abitante del Portuense) ha raccontato di come la presa in consegna del forte da parte dei Tedeschi sia avvenuta senza che si sparasse un colpo. Negli incontri è emerso invece come al forte siano avvenute esecuzioni sommarie di dissidenti politici. I racconti sono parzialmente in contrasto con la storiografia ufficiale, che vuole deputato a questa triste funzione il solo forte Bravetta. L’argomento merita un’indagine storica, che al momento manca.

 

 

Le casematte
 

La casamatta è un locale fortificato a prova di bomba, che prende il nome da casa marzia (cioè casa di Marte, il dio delle armi): è il luogo dove si concentra la maggior potenza di fuoco. In caso di attacco diretto la Casamatta diventa il cuore militare del forte.

Si trova sul fronte di fuoco (quello principale, orientato verso il mare, quello più esposto ad un attacco nemico), in posizione centrale, sporgente rispetto al Forte.

Il fronte di fuoco misura 180 metri ed è costituito da due facce angolate con al vertice la casamatta e ai due estremi due altre strutture fortificate che vedremo a breve, le mezzecaponiere.

Internamente alla casamatta si distinguono varie parti funzionali. La parte esposta al nemico è chiamata cannoniera: ha finestre svasate, per permettere il bordeggio delle artiglierie. Accanto alla cannoniera vi sono due ampie finestre affacciate sul fossato: esse consentono il tiro in infilata sulla linea di nemici, nel caso tentino un attacco lungo il fossato.

In posizione arretrata la casamatta ha alcune riservette, contenenti munizioni per alcune ore di fuoco ininterrotto, per «opporsi al nemico fino all’arrivo di un esercito di soccorso» (Carcani). A fianco sono stanzini fortificati (per l’ultima difesa) e sortite (o portine o posterle) sul piano del fossato (per le azioni di risposta). Le funzioni delle sortite sono numerose: si tratta di piccole porte in posizione riparata e recondita, che consentono la comunicazione rapida fra interno ed esterno, offrono un accesso secondario quando il portone principale è sotto attacco, consentono la sortita dei difensori per un attacco di sorpresa, e in caso sia necessaria l’evacuazione, funzionano da uscita di soccorso.

La Casamatta è direttamente collegata alla piazza d’armi mediante un piano inclinato: si tratta di una galleria a scorrimento veloce, lungo la quale è possibile, in caso di attacco, portare pezzi di artiglieria su ruote in casamatta, sfruttando la pendenza naturale della galleria.

Se la funzione della Casamatta centrale è presidiare le due facce angolate del fronte di fuoco, il compito di presidiare le due piccole facce laterali del forte è affidata a due piccole fortificazioni angolari, chiamate mezze caponiere, poste agli angoli tra il fronte di fuoco e i due fronti laterali e destinate a battere il fossato con armi da fuoco in infilata.

Esse sono simili per struttura alla casamatta centrale, con la differenza che la cannoniera è orientata, anziché al bordeggio, al brandeggio, cioè lo spostamento della bocca da fuoco sull’asse orizzontale. Sulle cortine delle mezze caponiere si aprono delle caditoie (condotte inclinate per il lancio di bombe a mano contro gli attaccanti nel fossato).

Cunicolo armato. Corridoio difeso da postazioni di tiro scavate nelle pareti.

Svolta a baionetta. Corridoio con due curve contrapposte, usato per evitare l’infilata dei colpi d’arma avversari.

 

 

L’esonero dalle funzioni militari (1946-1983)

 

Dall’Ufficio tecnico erariale proviene una minuziosa relazione sullo stato del forte nell’immediato Dopoguerra:

«Il Forte Portuense risulta di forma irregolare con giaciture varie, in parte in pendio ed in parte collinare. La sola area pianeggiante è costituita dallo spiazzo interno al Forte, ed ad alcune zone limitrofe alle varie costruzioni e manufatti che insistono nell’accorpamento».

Questo ‘contenitore’, un tempo isolato nel suo contesto urbano, oggi sembra essere diventato ‘contenuto’ di un tessuto circostante ormai oppriniente. Attorniato com’è dal quartiere, sembra scomparire se non fuoriuscissero alberi ed arbusti dal suo perinietro. Questa boscaglia anonima nasconde la sua storia a quanti, pur risiedendo nei suoi pressi, non percepiscono mininamente la sua esistenza.

A guerra conclusa l’Erario relaziona sulla devastazione operata dai Tedeschi, occupanti del Forte: «Le riservette ed i locali presentano molte manchevolezze, disfacimento dei pavimenti, mancanza di vetri e avarie a infissi di porte e finestre, cancelli, intonaci. Danneggiati gli impianti elettrici ed idraulici».

Nel 1956 il Forte viene esonerato da funzioni militari. Diventa un immenso deposito di materiali del genio, documenti d’archivio, armi e munizioni desuete.

Una relazione del Dopoguerra

Dall’Ufficio tecnico erariale proviene una minuziosa relazione sullo stato del forte subito dopo la partenza dei Tedeschi:

 «Tutte le costruzioni e manufatti risultano in cattive condizioni generali. Anzi, alcune di esse nonché varie riservette, risultano danneggiate dalla devastazione operata dai Tedeschi all’atto di abbandonare la Capitale. Le riservette ed i locali presentano molte manchevolezze, tra le quali la più importante è determinata dal disfacimento dei pavimenti, oltre alla mancanza di numerosi vetri e le avarie agli infissi di porte e finestre, cancelli, intonaci. Infine risultano danneggiati gli impianti elettrici ed idraulici».

Dopo il 1945 le superfici risultano ancora così distribuite: «Circa 1 ettaro è coperto dalle costruzioni utilizzate in parte per uso abitazioni, in parte per uso archivio del Ministero della Guerra, mezzo ettaro di terreno è costituito dallo spiazzo interno al Forte. Un ettaro e mezzo circa di terreno, cioè la restante, costituisce una striscia per il fossato e le strade che delimitano la proprietà demaniale militare».

1956. Esonero dai compiti militari

Nel 1956 il forte viene esonerato da ogni funzione militare. I locali sono adibiti a deposito di materiali.

Il lavoro della studiosa Ritucci ha riportato alla luce, negli archivi del quotidiano «Il Tempo», i primi dibattiti per un utilizzo utile alla collettività del forte.

Una pagina di cronaca del 7 novembre 1961, con una prosa aulica, descrive:

«C’è poi la casa del custode, impegnato strenuamente in opere bucoliche, e un certo numero di capannoni adibiti alla conservazione di registri e documenti vetusti».

Le trattative degli anni Sessanta, raccontate da Il Tempo

Negli anni Sessanta il quotidiano «Il Tempo» ha testimoniato dell’abbandono in cui versava il forte. Una pagina di cronaca del 7 novembre 1961, con una prosa aulica, descrive così lo stato del forte:

«Il mare di cemento e di mattoni del quartiere Portuense si è arrestato ai margini di una vasta area di circa quarantamila metri quadri, coperta da una vegetazione fitta e selvaggia, interrotta da profondi fossati e recintata tutto intorno da filo spinato. È il vecchio Forte Portuense, che forza ormai non ha più, e lo dimostra pietosamente un misero resto di garitta che espone al vento e alla pioggia un superstite scheletro di ferro con qualche brandello di cemento ancora aggrappato di qua e di là. C’è poi la casa del custode, impegnato strenuamente in opere bucoliche, e un certo numero di capannoni adibiti alla conservazione di registri e documenti vetusti».

1961. Andreotti e la variante al Piano Regolatore

Nel 1961 scende in campo la politica. Si fa avanti l’idea di trasferire il forte dal Demanio statale a quello comunale, destinando l’area ad uso della cittadinanza.

Il Tempo riferisce di un comizio al Portuense il 12 marzo 1961, in cui l’allora ministro Giulio Andreotti, «prese formale impegno di cedere il Forte al Comune per l’attuazione delle importanti opere di carattere pubblico e sociale che esso onora di ospitare».

Gli interventi non tardano. Il 31 marzo 1961 viene approvata la variante 115 bis al Piano regolatore, che vincola l’area del forte come «zona M3», cioè servizi pubblici di quartiere: parco pubblico, campo sportivo, terreno edificabile (per la costruzione di una scuola e di una chiesa).

1966-1967, lo sgombero

Rimaneva tuttavia ancora il problema delle numerose artiglierie presenti nel forte, e di parte consistente dei locali impiegata come magazzino. Scriveva Il Tempo: «Tutta l’area è di proprietà demaniale e in possesso dell’autorità militare. Non c’è il minimo segno però, che l’autorità militare sia disposta a lasciare effettivamente libero il capannone; documenti e registri potrebbero facilmente trovare una sede più funzionale altrove».

Lo sgombero avverrà solo cinque anni dopo. Con una nota del 10 agosto 1966, il la Direzione Generale del Genio, dispone il trasferimento delle artiglierie: «Un’area disponibile ed idonea all’installazione di capannoni per il ricovero del materiale attualmente ricoverato al Forte Portuense è stata effettuata presso l’ex Stabilimento Innocenti Tor Sapienza».

Il 9 marzo 1967 il Ministero della Difesa autorizza la consegna provvisoria del forte al Comune di Roma, per consentire la sistemazione di servizi di quartiere.

In quell’anno la Difesa autorizza anche la demolizione di una lunetta del forte, per consentire la rettificazione della via Portuense, che proprio al tempo della costruzione del forte era stata deviata fino a compiere un mezzo giro del forte, a scopo difensivo.

La strada viene realizzata, e così la scuola e la chiesa. Per la realizzazione dei servizi occorre invece attendere molto ancora.

La studiosa Ritucci ha riportato alla luce una importante pagina di cronaca de «Il Tempo» del 7 novembre 1961.

La prosa aulica e melanconica parla per la prima volta di un riutilizzo civile del forte: «Il mare di cemento e di mattoni si è arrestato ai margini di una vasta area di quarantamila metri quadri, coperta da una vegetazione fitta e selvaggia, interrotta da profondi fossati e recintata tutto intorno da filo spinato. È il vecchio forte Portuense, che forza ormai non ha più…».

Il primo progetto si deve all’allora ministro Giulio Andreotti, che propone di trasferire il forte dal demanio statale al Comune. Riporta Il Tempo che in un comizio al Portuense del 12 marzo 1961, Andreotti «prese formale impegno di cedere il Forte al Comune per l’attuazione delle importanti opere di carattere pubblico e sociale».

I fatti seguono veloci. Il 31 marzo 1961 cambia il Piano regolatore e la variante 115 bis trasforma l’area da zona militare a M3 (servizi pubblici di quartiere). Sono previsti un parco, campo sportivo, una scuola e una chiesa.

Il passato recente di forte Portuense è segnato da un complesso percorso burocratico. Tre questioni (l’uscita dei militari, i vincoli demaniali e l’assegnazione alla XV circoscrizione) impiegano una trentina d’anni per essere risolte.

La prima questione è lo sgombero dalle artiglierie, che procede a rilento. Il Tempo scriveva: «Non c’è il minimo segno che l’Autorità militare sia disposta a lasciare». Il 10 agosto 1966 la Direzione del Genio individua «un’area idonea per il ricovero del materiale attualmente ricoverato al forte Portuense», presso l’ex stabilimento Innocenti di Tor Sapienza. La riconsegna al Demanio avviene solo il 9 marzo 1967. Nel 1967 si sblocca anche la questione della «gobba», cioè l’ansa di rallentamento che intralcia il traffico. La Difesa autorizza a demolire una lunetta, sbancando parte di terrapieno e fossato.

Per l’allargamento della via Portuense negli anni ‘70, è stato demolito un angolo del terrapieno e del fossato.

 

 

Il recupero (1984-2004)
 

Inizia a questo punto la questione dei vincoli.

Con una declaratoria del Ministero dei beni culturali del 13 luglio 1984 il forte diventa «bene culturale» del demanio indisponibile dello Stato, ramo storico-artistico-archeologico, ai sensi della legge 1089 del 1939.

I vincoli di tutela, assai pesanti, sono difficilmente compatibili con la destinazione a servizi di quartiere proposta dal Piano regolatore.

A mitigare i vincoli interviene una legge del 1986 (n. 390), stabilendo che il bene culturale può essere dato in concessione ad un ente pubblico o ad un’istituzione culturale, per un massimo di 19 anni, per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ente assegnatario. Ma siamo ancora lontani dalla possibilità di svolgervi servizi di quartiere o dalla sub-locazione all’associazionismo locale, che rimane ancora vietata.

Una declaratoria del 13 luglio 1984 del Ministero dei Beni Culturali dichiara il forte di «particolare interesse» ai sensi della legge 1089 del 1° giugno 1939, inserendolto tra i beni demaniali del ramo artistico-storico-archeologico sottoposti a vincoli di tutela. Il vincolo maggiore per questo tipo di beni è costituito dall’inalienabilità.

Una legge successiva, la 390 dell’11 luglio 1986, ha introdotto per i beni storici la possibilità di darli in concessione per una durata fino a 19 anni, ad enti pubblici o istituzioni culturali. Questa legge tuttavia, comporta il limite dello svolgimento delle funzioni istituzionali dell’ente, vietando la sub-locazione. Il forte sarebbe stato quindi una magnifica scatola, cincapace di aprirsi all’associazionismo locale. È questo il motivo per cui, perché le cose si cominciassero a muovere, devono passare ancora altri 10 anni.

Nel 1996 si costituisce un’associazione, chiamata «Associazione Forte Portuense», che individua nella struttura fortificata la possibilità di promuovere attività artistiche, trasformandolo in un centro culturale polivalente.

Tra i soggetti promotori vi sono la Scuola materna di via degli Irlandesi, il Centro anziani Ciricillo, la Scuola popolare di musica di Testaccio, e le associazioni Assoraider (scout), Idonea (imprenditoria femmininile) e Ars RomaSedici.

L’associazione si propone come raggruppamento di organizzazioni che già si occupano di specifiche forme d’arte.

Alla base della progettualità dell’associazione vi è l’idea che al Forte, che ha perduto la sua funzione originaria di strumento militare, occorre assegnarne una nuova, affinché non rappresenti più un luogo di degrado e si trasformi, per il quartiere, in una risorsa.

Ben presto, con l’evolvere delle tecnologie militari, divennero inutilizzabili per gli scopi difensivi. Ora, con la crescita impetuosa della città di Roma nel secondo dopoguerra, si trovano tutti in piena zona urbana, densamente abitata. Questa catena di strutture rappresenta quindi sia un pericolo (di degrado ed abbandono) che una potenziale risorsa.

La questione del recupero e del riutilizzo civile di questi forti è diventata ormai urgente. Distribuiti come sono in molte aree della città, una volta recuperati i forti potranno contribuire sostanzialmente a migliorare la qualità della vita in molte zone periferiche e semiperiferiche di Roma.

Intanto proseguono gli incontri e le trattative per la consegna permanente del Forte dal Demanio al Municipio come istituzione comunale. L’impegno del Comune di Roma garantirà le risorse per completare il progetto, rendendo il Forte definitivamente disponibile per un uso istituzionale e culturale.

Sono trascorsi dieci anni da quando l’Associazione iniziò il suo impegno. Il percorso è stato lungo e tortuoso, ma ora sta per concludersi e già possiamo intravedere ampi spiragli verso la conquista del Forte Portuense da parte del popolo della pace, per un uso civile.

Con i suoi due piani abitabili e lunghi corridoi di congiunzione, il Forte Portuense rappresenta, potenzialmente, una struttura ideale per ospitare le sedi di alcune delle associazioni partecipanti, per organizzare mostre itineranti e temporanee e come spazio ginnico e ricreativo per le scuole.

Gli opportuni accorgimenti lo renderanno adatto ad ospitare avvenimenti significativi, come mostre annuali o temporali di arte, architettura ecc.

La piazza d’armi potrà ospitare uno spazio per concerti, teatro e cinema all’aperto.

Corsi di musica, ludoteca e laboratori artistici sale informatiche, bar, ristorante, video-caffè, ed altro sono i contenuti che la nostra Associazione ha sempre sostenuto nella convinzione che la disponibilità di uno spazio non solo per usufruire ma anche per fare arte e cultura sia indispensabile per il benessere e per un sano equilibrio della società.

Il Forte Portuense può diventare un’attrazione per l’intera città, contribuendo così a riqualificare un quartiere sempre meno periferico, che era caratterizzato dalla scarsità di attività culturali. L’Associazione vede una tale struttura come parte integrante del piano più generale di sviluppo del Quadrante Ovest di Roma.

Le Attività programmate. Elenchiamo, in estrema sintesi, le attività che l’Associazione intende promuovere nella struttura del Forte Portuense, una volta ristrutturata.

Tutti i laboratori saranno caratterizzati da un’attenzione particolare alla prevenzione del disagio giovanile e all’integrazione multi-etnica, con riunioni periodiche dei vari

responsabili, incluso un esperto di psicologia dell’età evolutiva, per migliorare le dinamiche interrelazionali e le potenzialità espressive individuali.

1)         Musica: Scuola Popolare di Musica di Testaccio; corsi e lezioni aperte (previsti posti anche per un pubblico di uditori); corsi di strumento; corsi di musico-terapia; sede della Banda di Arvalia; sale prova; biblioteca e ricerca; banca dati musicisti; concerti.

2)         Artigianato: Associazione IDONEA mostre di artigianato; laboratori (ceramica, cucito, ricamo, tessitura, legno, ecc.) per adulti e bambini.

3)         Attività per i giovani: Scout Assoraider attività scoutistiche (riunioni, ecc.) attività all’aria aperta; organizzazione periodica di visite guidate e attività ludiche aperte ai cittadini.

4)         Attività artistiche: ARS ArteRomaSedici; laboratori di disegno, pittura, fotografia e ceramica artistica; mostre espositive delle produzioni interne ai laboratori organizzazione di eventi espositivi di artisti nazionali ed internazionali; lezioni e seminari sull’uso del disegno e del colore; corsi di formazione per insegnanti sul disegno e la sua interpretazione; gruppi di disegnoterapia.

5)         Accoglienza socio-culturale; sportello per informazioni agli stranieri; corsi sull’uso della lingua italiana per stranieri.

6)         Cinema, ristoro, attività varie: Ristorazione Bar; Chiosco.

Si prevedono anche spazi comuni, in particolare una grande sala polivalente, probabilmente da costruire nella parte scoperta del Forte, per avvenimenti che richiamano un pubblico più numeroso: concerti, danza, spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche.

Con questa gamma di attività, l’Associazione Culturale Forte Portuense conta di coinvolgere gli abitanti del quartiere, trasformando una struttura abbandonata ed a rischio di degrado in una risorsa capace di produrre fermento culturale e nuova occupazione, sia diretta che indotta.

Il 17 dicembre 1996 la XV Circoscrizione di Roma vota una risoluzione (n. 100) «per l’utilizzazione pubblica e la valorizzazione dell’ex forte Portuense», chiedendo al Comune di acquisire il forte in concessione dal Demanio, offrendo in cambio la bonifica del verde e la realizzazione di un progetto architettonico e di valorizzazione. In questo percorso è significativo l’appoggio dei parlamentari locali, la deputata Giovanna Meandri e la senatrice Carla Rocchi.

Il 16 maggio 1997 il Comune approva la risoluzione della XV circoscrizione, e formula una memoria al Demanio. Il 13 ottobre 1997 il Demanio statale concede il forte in concessione.

La concessione si perfeziona solo nel maggio 1998, attraverso un verbale di concessione e l’effettiva consegna delle chiavi. La concessione ha durata brevissima: 18 mesi, il tempo necessario per la bonifica dagli ordigni bellici, e per permettere i rilievi e la redazione di un progetto tecnico-funzionale, architettonico, economico e finanziario.

1996-1998. La concessione

L’allora XV circoscrizione condivise queste aspettative, e le fece proprie con la risoluzione n. 100 del 17 dicembre 1996, con cui si tracciava un percorso procedurale, col quale si potesse giungere «all’utilizzazione pubblica ed alla valorizzazione dell’ex Forte Portuense».

Con la risoluzione, soprattutto, la XV Circoscrizione chiedeva al Demanio dello Stato, proprietario effettivo del Forte, di concederlo temporaneamente con ‘canone ricognitivo’ al Comune, in cambio dell’impegno del Comune a bonificare lo spazio verde e a renderla accessibile ai tecnici incaricati di sviluppare un progetto architettonico e di valorizzazione.

Anche la politica adotta Forte Portuense, in particolare le parlamentari di zona, la senatrice Carla Rocchi e la deputata Giovanna Melandri.

La risoluzione circoscrizionale viene ripresa da una memoria di giunta del Comune, datata 16 maggio 1997, con cui il Comune chiede l’acquisizione in concessione. Il Demanio accetta, con una nota del 13 ottobre 1997.

Occorre aspettare ancora fino al maggio 1998 perché la decisione si perfezioni attraverso un verbale di concessione e la consegna delle chiavi alla XV Circoscrizione, inizialmente per un periodo di 18 mesi, durante il quale deve svolgersi la bonifica per permettere i rilievi e la redazione di un progetto tecnicofunzionale, architettonico, economico e finanziario.

I primi sopralluoghi rivelano subito la presenza di ordigni bellici, a rischio esplosione. La presenza viene in realtà sovrastimata, ma gli ordigni presenti erano comunque in grado di esplodere. Lo sminamento blocca i lavori al forte per tutto il 1999.

Il 12 aprile 2000 il problema delle mine viene affrontato da Regione Lazio e Ministero per i Beni culturali. Un’intesa programmatica porta all’inserimento del forte negli interventi finanziati dal gioco del Lotto per il successivo 2001.

Il Ministero stanzia così dal gennaio 2001 1,6 miliardi di lire, per svolgere oltre lo sminamento e la messa in sicurezza, anche la sistemazione a parco e uno studio tecnico. Alcuni ritardi sui lavori diventano addirittura un’interrogazione parlamentare, a firma della senatrice De Petris.

Nella primavera 2004 iniziano i lavori.

Alla cerimonia di giugno 2004, con cui si apre parzialmente il forte, è presente il sindaco Veltroni.

Ma i fondi in realtà bastano solo per la totale messa in sicurezza dagli ordigni bellici e per un primo restauro conservativo, diretto dall’arch. Belardi della Soprintendenza, mentre la pulizia del verde viene svolta in maniera sommaria.

Il problema delle tonnellate di rifiuti (prodotti soprattutto dalla escavazione del fossato, che viene riportato ai volumi originari) viene affrontato con un finanziamento di 40mila euro dell’assessorato all’Ambiente del Comune, che stipula un accordo con l’Ama.

Ad ottobre viene completata inoltre la costruzione del nuovo asilo, che sostituisce i 6 padiglioni in amianto della vecchia scuola, che vengono abbattuti.

I lavori si concludono nel mese di novembre.

I sopralluoghi del 1999 rilevano a forte Portuense alcuni ordigni bellici, capaci ancora di esplodere. La presenza risulterà in realtà sovrastimata, ma il costoso sminamento terrà in scacco a lungo la pubblica amministrazione.

Il 12 aprile 2000 si trovano i fondi, con un’intesa tra Beni culturali e Regione per attingere dai proventi del Lotto. Dal gennaio 2001 arrivano 1,6 miliardi di lire, con cui si realizza la messa in sicurezza, un primo restauro conservativo diretto dall’architetto Belardi della Soprintendenza, e una sommaria sistemazione a parco.

Proprio il verde dà i problemi maggiori. L’escavazione del fossato (riportato alle volumetrie originarie) genera tonnellate di «rifiuti speciali», difficili da smaltire. La questione finisce in Parlamento, con un’interrogazione della senatrice De Petris. Un accordo fra assessorato all’Ambiente e l’Ama consente l’invio in discariche specializzate.

Nel giugno 2004 il forte viene riconsegnato e ad ottobre è pronto anche il nuovo asilo, in sostituzione dei 6 vecchi padiglioni in amianto.

 

 

La Caponiera e gli altri corpi minori

 

Una quarta fortificazione, la Caponiera, difende l’ingresso. Esternamente al forte, sull’altro lato del fossato asciutto, si trova il deposito delle polveri (Polveriera).

Il piano del fossato ospita ampi magazzini (viveri, artiglieria, munizioni) dotati di montacarichi. Vi sono cunicoli di soccorso e caditoie; una galleria sotterranea percorre l’intero forte.

Una scala e un montacarichi portano alla polveriera sotterranea, al livello inferiore; una rampa carrabile (accessibile anche ai mezzi di artiglieria) permette la salita ai piani di batteria.

In caso di aggressione, la risposta attiva era tuttavia affidata all’avancorpo della caponiera, sporgente rispetto al muro di scarpa: poteva battere il fossato in «infilata» (un unico tiro radente «infilzava» l’intera colonna nemica) e supportare la garitta sul fianco (c.d. «tiro incrociato»).

Dall’androne si può raggiungere sia il piano del fossato, sia quello in alto della batteria con percorsi diversificati: a scala il primo, a rampa il secondo per l’accesso dei pezzi di artiglieria pesante.

Al piano del fossato, più basso rispetto a quello dell’ingresso, l’organisnmo sotterraneo si dispone alla difesa. Passaggi, profonde gallerie ritrovate nel terreno, collegano zone di disimpegno, locali per il fiancheggiamento delle caponiere, ed elementi distributivi verticali come rampe, scale e montacarichi.

 

I terreni adiacenti il Forte ospitano giardini, un centro anziani, un circolo privato, e vi sorgeva una scuola materna in disuso, sostituita da un nuovo asilo nido inaugurato nell’aprile del 2006.

Sempre nelle adiacenze ma ancora in funzione, sono due grandi capannoni, lungo la piccola via del forte Portuense, usati dai militari per ospitare alcuni archivi.

 
Il piano del fossato

Al piano del fossato, più basso rispetto a quello dell’ingresso, l’organismo sotterraneo si dispone alla difesa.

Passaggi, profonde gallerie ritrovate nel terreno, collegano zone di disimpegno, locali per il fiancheggiamento delle caponiere, ed elementi distributivi verticali come rampe, scale e montacarichi.

Il fossato è una fortificazione difensiva, che serve ad ostacolare l’avanzata dell’attaccante.

Il fossato ripete per forma la pianta trapezoidale del forte ed è di tipo «asciutto»: non veniva cioè riempito d’acqua come i castelli medievali, ma la sua funzione era raccogliere le macerie dei bombardamenti, affinché non ostruissero le bocche di fuoco. Il fossato asciutto ha inoltre delle funzionalità strategiche: vi possono partire le sortite dei difensori, mentre dalla casamatta, dalle mezze caponiere e dalla caponiera sul fronte di gola si poteva far fuoco sugli attaccanti.

Nel fossato, la parete a cortina che coincide col fronte di fuoco del forte prende il nome di scarpa o parete interna; la parete opposta, cioè quella esterna ed aperta verso la campagna si chiama «controscarpa». Nella parete di controscarpa erano un tempo presenti dei camminamenti al di sopra degli spalti, oggi perduti a causa dei riutilizzi del terrapieno della controscarpa. La scarpa e la controscarpa si definiscono entrambe, in gergo militare, cortine.

I terreni adiacenti il Forte ospitano giardini, un centro anziani, un circolo privato, e vi sorgeva una scuola materna in disuso, sostituita da un nuovo asilo nido inaugurato nell’aprile del 2006.

Sempre nelle adiacenze ma ancora in funzione, sono due grandi capannoni, lungo la piccola via del Forte Portuense, usati dai militari per ospitare alcuni archivi.

Esternamente al forte, sull’altro lato del fossato asciutto, si trova il deposito delle polveri (Polveriera).

 

 

Prospettive
 

Il 6 dicembre 2006 il sindaco Veltroni torna al forte.

Le parole del primo cittadino meritano di essere rammentate:

«Il Forte è nato come luogo di guerra e oggi invece è diventato un luogo di pace. Adesso possiamo finalmente camminare qui tutti insieme. Questo Forte va cullato e protetto e va trovata la destinazione migliore per un luogo così».

Il forte è stato ribattezzato per l’occasione «Forte della pace».

I lavori per il forte sono proseguiti nel 2005, con la costruzione di nuovi marciapiedi e la piantumazione di arbusti, sulla scarpata che confina con il muraglione del forte, franata in seguito alle abbondanti piogge invernali.

Una lunga stagione di eventi culturali è prevista da marzo a settembre 2006. Dopo il forte tornerà a chiudersi al pubblico, per l’inizio della seconda e conclusiva fase del restauro.

Il 6 dicembre 2005 il sindaco Veltroni è al forte, ribattezzato «Forte della pace». Le sue parole: «Il Forte, nato come luogo di guerra, è oggi un luogo di pace in cui camminare tutti insieme. Questo Forte va cullato e protetto».

«La conquista del forte Portuense da parte del popolo della pace, per un uso civile».

Il forte è stato ribattezzato per l’occasione «Forte della pace».

Il forte oggi

I lavori per il forte sono proseguiti nel 2005, con la costruzione di nuovi marciapiedi e la piantumazione di arbusti, sulla scarpata che confina con il muraglione del forte, franata in seguito alle abbondanti piogge invernali.

Una lunga stagione di eventi culturali è prevista da marzo a settembre 2006. Dopo il forte tornerà a chiudersi al pubblico, per l’inizio della seconda e conclusiva fase del restauro.

Il forte Portuense rappresenta, potenzialmente, una struttura ideale per ospitare le sedi di alcune delle associazioni partecipanti, per organizzare mostre itineranti e temporanee e come spazio ginnico e ricreativo per le scuole.

Gli opportuni accorgimenti lo renderanno adatto ad ospitare avvenimenti significativi, come mostre annuali o temporali di arte, architettura ecc.

La piazza d’armi potrà ospitare uno spazio per concerti, teatro e cinema all’aperto.

Corsi di musica, ludoteca e laboratori artistici sale informatiche, bar, ristorante, video-caffè, ed altro sono i contenuti che la nostra Associazione ha sempre sostenuto nella convinzione che la disponibilità di uno spazio non solo per usufruire ma anche per fare arte e cultura sia indispensabile per il benessere e per un sano equilibrio della società.

Il forte Portuense può diventare un’attrazione per l’intera città, contribuendo così a riqualificare un quartiere sempre meno periferico, che era caratterizzato dalla scarsità di attività culturali. L’Associazione vede una tale struttura come parte integrante del piano più generale di sviluppo del Quadrante Ovest di Roma.

Le Attività programmate. Elenchiamo, in estrema sintesi, le attività che l’Associazione intende promuovere nella struttura del forte Portuense, una volta ristrutturata.

Tutti i laboratori saranno caratterizzati da un’attenzione particolare alla prevenzione del disagio giovanile e all’integrazione multi-etnica, con riunioni periodiche dei vari responsabili, incluso un esperto di psicologia dell’età evolutiva, per migliorare le dinamiche interrelazionali e le potenzialità espressive individuali.

1)         Musica: Scuola Popolare di Musica di Testaccio; corsi e lezioni aperte (previsti posti anche per un pubblico di uditori); corsi di strumento; corsi di musico-terapia; sede della Banda di Arvalia; sale prova; biblioteca e ricerca; banca dati musicisti; concerti.

2)         Artigianato: Associazione IDONEA mostre di artigianato; laboratori (ceramica, cucito, ricamo, tessitura, legno, ecc.) per adulti e bambini.

3)         Attività per i giovani: Scout Assoraider attività scoutistiche (riunioni, ecc.) attività all’aria aperta; organizzazione periodica di visite guidate e attività ludiche aperte ai cittadini.

4)         Attività artistiche: ARS ArteRomaSedici; laboratori di disegno, pittura, fotografia e ceramica artistica; mostre espositive delle produzioni interne ai laboratori organizzazione di eventi espositivi di artisti nazionali ed internazionali; lezioni e seminari sull’uso del disegno e del colore; corsi di formazione per insegnanti sul disegno e la sua interpretazione; gruppi di disegnoterapia.

5)         Accoglienza socio-culturale; sportello per informazioni agli stranieri; corsi sull’uso della lingua italiana per stranieri.

6)         Cinema, ristoro, attività varie: Ristorazione Bar; Chiosco.

Si prevedono anche spazi comuni, in particolare una grande sala polivalente, probabilmente da costruire nella parte scoperta del Forte, per avvenimenti che richiamano un pubblico più numeroso: concerti, danza, spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche.

Con questa gamma di attività, l’Associazione Culturale forte Portuense conta di coinvolgere gli abitanti del quartiere, trasformando una struttura abbandonata ed a rischio di degrado in una risorsa capace di produrre fermento culturale e nuova occupazione, sia diretta che indotta.

 
Camerate di fanteria di Giselda Cacciani, olio e sabbia su tela cm 50 × 35 (+3)

Il Forte Portuense, monografia pp. 4 di Antonello Anappo, in Biblioteca (Sala 2) inv. 15 /B

Vedi anche:
Casal Fabrizi
Istituto Vigna Pia
Forte Portuese
Tomba di Petronia
Casale D’Arcangeli
Fosso di Santa Passe…
 


Forte Portuense (immagine aerea) (foto di Antonello Anappo, altre 225 immagini nel Fondo fotografico)

scheda inventariale

Inventario

 

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