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Cippi dei Germani

I Cippi dei Germani, monografia pp. 4 di Antonello Anappo (Municipio Roma XI, Roma 2012 )

 

I Cippi dei Germani sono cinque stele funerarie appartenute a guardie scelte di Nerone (corpores custodes), oggi conservate al Museo Nazionale Romano.

Alla metà del I sec. d.C. i Germani godono dello status di peregrini (stranieri di condizione libera) e sono organizzati in corporazioni paramilitari, chiamate Cohortes Germanorum. Esse sono a loro volta organizzate in decuriae. La decuria è una speciale famiglia di 10 individui maschi dai legami strettissimi, tomba compresa: l’area ex Purfina ha restituito nel 1947 cinque cippi funerari di altrettanti fratelli d’armi, ciascuna della misura due metri. L’epigrafe cita il nome, la sua famiglia d’armi e il confratello che ne diviene erede. Di cinque cippi solo tre sono integri, e restituiscono i nomi di Indus, Gamo e Fannius. Quest’ultimo è il più giovane (appena 17 anni) mentre Indus è il più anziano (35 anni).

 
 

A differenza dei primi corpores custodes - schiavi devotissimi di origine germanica, di proprietà dell’Imperatore, addetti alla sua incolumità personale - ai tempi di Nerone (54-68 d.C.) le milizie scelte sono divenuti un corpo paramilitare professionale: sono composte di stranieri di condizione libera (peregrini), organizzati in coorti (Germanorum cohortes).

L’unità organizzativa delle coorti è la decuria, speciale famiglia d’armi composta di dieci individui. Ogni decuria ha vincoli strettissimi assimilabili alla parentela di sangue, che unisce i componenti dal momento della cooptazione (adozione di un nuovo fratello per voto unanime degli altri nove), al momento della difficoltà o dell’infermità (con obblighi di solidarietà, anche patrimoniale), fino momento della sepoltura (a carico della coorte).

L’area ex Purfina a Pozzo Pantaleo ha restituito le stele funerarie di cinque germani, uguali fra loro nella forma: due metri circa di altezza e con la sommità stondata. Nell’epigrafe esse citano il nome del milite, la sua decuria e il fratello d’armi che ne diviene erede, e recano la sobria decorazione di una corona di foglie, a rappresentare a tutti la valorosa condotta marziale.

Di cinque stele solo 3 sono integre, e conservano i nomi di Indo (Indus), Gamone (Gamo) e Fannio (Fannius). Fannio ha appema 17 anni e fa parte della decuria di Cotino. Indo è il più anziano. La sua epigrafe così recita: «Indo, straniero di condizione libera, guardia imperiale della decuria di Secondo, è morto a 35 anni e qui giace. Il fratello d’armi Eumene diviene suo erede e pone questa lapide».

Riportano concordemente Giovanni di Antiochia (frammento 91n) e Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, XIX) che furono proprio i Germani a favorire l’uccisione di Nerone. Svetonio (Vita di Galba, 12) riferisce che Galba, temendo di fare la stessa fine del predecessore, li abolì: «Germanorum cohortem dissolvit ac sine commodo ullo remisit in patriam» (li sciolse e li rimandò a casa senza buonuscita). Le guardie scelte però, in quei tempi di turbolenze, non sono facilmente rimpiazzabili dai ranghi dell’esercito regolare, al punto che Traiano ne ripristina la funzione, costituendo il nuovo corpo degli equites singulares.

Le cinque stele sono oggi al Museo nazionale romano, nel Giardino delle Terme.

 

I Cippi dei Germani, monografia pp. 4 di Antonello Anappo, in Biblioteca (Sala 2) inv. 532 /B

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